Pagina:La favorita del Mahdi.djvu/130

128

gigantesca foresta, fugando le iene e gli sciacalli che rompevano il silenzio della notte con orribili scrosci di risa e urla interminabili, poi si fermò, anelante, spossato, colla spuma alle labbra.

Tutto ad un tratto udì un grido straziante, terribile, prolungato; era un grido d’angoscia, una invocazione suprema, un appello disperato. Nell’udirlo, i capelli si rizzarono sulla fronte e il sangue poco prima infiammato gli si gelò nelle vene.

— Dio! Dio! qual voce! balbettò egli. Dove ho udito io questa voce? Sono o non sono sveglio. Avanti! avanti!

Partì come una freccia coll’jatagan in mano, dirigendosi verso un macchione di piante di palme dal quale era partito il grido e sbucò in una piccola radura.

Là legata ad un gigantesco tamarindo, semi-nuda, stava una donna e ritta dinanzi a lei una spaventevole jena che la stringeva fra i suoi artigli. Abd-el-Kerim gettò un urlo selvaggio, furioso, strozzato.

— Fathma!... Fathma!...

Ruinò come una valanga addosso alla jena che stava per sbranare la sventurata almea e con un terribile fendente le spaccò il cranio.

— Fathma! mia adorata Fathma! esclamò l’arabo con istrazio.

Tagliò rapidamente i legami e ricevette fra le braccia quel corpo inerte e semi-gelato: gli occhi dell’arabo s’inumidirono.

— Rispondi, Fathma, rispondi, continuò egli, baciandola sulle gote. Gran Dio! che è successo mai?... Come sei qui e in questo stato?...

Un debole sospiro uscì dalle labbra dell’almea e poco dopo aprì gli occhi e li fissò in quelli dell’amante.

— Dove sono? chiese ella con un filo di voce.

— Fra le mie braccia, al sicuro d’ogni offesa! esclamò Abd-el-Kerim che rideva e piangeva ad un tempo. Non aver paura, Fathma, sono qui io a difenderti, sono qui io a salvarti.