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Non udiva allora più le grida selvaggie dei beduini, ma per l’aria udiva certi svolazzamenti, certi stridi che facevangli supporre di trovarsi in mezzo a bande di pipistrelli; anzi provava sulla faccia il freddo contatto delle loro ali e più d’uno s’aggrappò alle sue vesti. Dieci e più volte s’arrestò, per paura di smarrirsi fra le gallerie che si succedevano le une alle altre sempre più tortuose, ma la speranza di trovare uno sbocco e la tema di ricadere nelle mani di quel mostro che chiamavasi Notis e nelle mani della vendicativa Elenka, lo spingevano suo malgrado innanzi.

D’un tratto si trovò in presenza di una parete che chiudeva il passo, ma girando per di qua e per di là trovò una apertura per la quale si cacciò e sbucò in una caverna di quindici metri di diametro richiarata da una vaga luce che scendeva dall’alto.

Si guardò attorno sorpreso. Vide dei sepolcri fregiati d’ibis religiose e di piante di loto sacro, e negli angoli dei coccodrilli mummificati, infissi nel petto come usasi fare, cogli scarabei che voglionsi conservare, e avvolti per metà in istuoie. Sul terreno vi erano monti d’ossami alcuni appartenenti ad animali ma molti altri a uomini.

L’arabo non si smarrì. Aggrappandosi alle sporgenze delle pareti, aiutandosi colle mani e coi piedi, giunse a una gran fessura dalla quale veniva quel po’ di luce e si trovò all’aperto in mezzo a sei o sette sepolcri sormontati da tarbusch colossali. A cento passi da lui v’era la foresta e a duecento vi erano le tende e i cammelli dei beduini. Un dongolese solo vegliava, appoggiato alla sua hàrba, fumando flemmaticamente in un gran scibouk malandato.

— Se posso fuggire senz’essere visto da quell’uomo, sono salvo, mormorò l’arabo. La notte cala, la foresta è vicina e i beduini sono nel sotterraneo. Mi caccierò in mezzo ai cespugli e sfido i cani a trovarmi. Ah! Elenka, guai a te se riesco a sorprenderti nel tugul dell’adorata mia Fathma!