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— Zitto, miserabile! disse l’arabo fremente.
— Grazia, balbettò il beduino.
Abd-el-Kerim gli strappò l’jatagan dalla cintura e prima che l’altro potesse parare il colpo glielo cacciò attraverso il ventre. Con una seconda sciabolata lo irrigidì.
— E uno, mormorò l’arabo freddamente. Se Allàh e il Profeta m’aiutano, Fathma è salva!
Tolse al morto le pistole e le munizioni, inghiottì in furia alcuni bocconi di logna per calmare la fame e si cacciò risolutamente nel corridoio coll’jatagan in mano.
Faceva oscuro assai, essendosi la torcia del beduino spenta, di più, la via era ingombra di rottami che rendevano malagevole il cammino, ma Abd-el-Kerim non si smarriva. Tastando le pareti, cadendo e rialzandosi, facendo il meno rumore che fosse possibile, giunse in brev’ora a una ventina di passi dall’uscita. S’arrestò vedendo un beduino fermo dinanzi, il quale, scorgendolo gridò:
— Olà! spicciati Sceiquek che non abbiamo tempo da perdere.
L’arabo non sapendo cosa rispondere e temendo che riconoscesse la sua voce, credette bene di tacere e di tirarsi lestamente indietro.
Il beduino fece due o tre passi nel corridoio.
— Chi è là? chiese egli. Sei tu Sceiquek?
Non ricevendo ancora risposta s’avanzò coll’hàrba in resta, Abd-el-Kerim si diede alla fuga e si nascose in una incavatura della parete coll’jatagan alzato.
— Per la barba del Profeta rispondi, gridò per la terza volta il beduino. Non fare scherzi, maledetto Sceiquek.
Abd-el-Kerim emise un gemito lugubre. Il beduino si fermò indeciso e forse spaventato, poi si fece animo e tirò avanti colla lancia sempre innanzi a sè. Egli possò rasente al muro opposto a quello dove trovavasi l’arabo e continuò a camminare chiedendo di quando in quando: