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— Nel mezzo di un gruppo di acacie a quanto mi parve.

— Tu non puoi seguirci, poichè una donna è impossibile che passi dove passerà un uomo. Quando udrai il nostro fischio accorri e troverai l’almea legata.

— Venti talleri se voi riuscite a farla prigioniera.

Non ci voleva di più per incoraggiare i dongolesi. Essi si cacciarono sotto le macchie, scostando lentamente le foglie e i rami, strisciando come serpenti o inerpicandosi sugli alberi quando riusciva a loro impossibile trovare un passaggio, tirandosi su l’un l’altro e senza fare più rumore d’una formica bianca. D’un tratto il profondo silenzio che regnava sotto la foresta fu rotto dall’urlo dello sciacallo.

I due dongolesi s’arrestarono di botto guardandosi in faccia l’un l’altro.

— Hai udito, Alek? chiese sottovoce il più anziano.

— Perfettamente, Nagarch, rispose l’altro.

— Che ne dici?

— Che questo urlo non fu emesso da uno sciacallo.

— È quello che penso pur io. Scommetterei che lo mandò l’almea per ingannare la greca e tenerla lontana.

— Deve essere così. Procediamo cautamente e stiamo attenti all’urlo.

Ripresero la silenziosa marcia guidati dal lamentevole urlo che di tratto in tratto udivasi. Dopo di aver percorso un cinquecento passi, dall’alto di una palma dum scorsero qualche cosa di bianco in mezzo a un fitto gruppo di bauinie.

— Eccola là l’almea, disse Nagarch.

— La vedo, rispose Alek. Ora dividiamoci e stiamo bene attenti alla sua carabina. Io vado di qui seguendo le bauinie e tu va dietro a quelle acacie. Su spicciamoci.