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— Sta bene, ma ti giuro che fra pochi minuti te ne pentirai.

— Povera Fathma, disse Elenka ironicamente.

— Lascia la ironia e preparati invece a morire. Spicciati, maledetta greca, poichè fra poco non ci si vedrà più, e gli abitanti della foresta usciranno dai loro covi in cerca di preda. Io prendo questo sentieruzzo che va a dritta, tu prendi quel sentiero che va a sinistra e passati che sieno cinque minuti, mettiamoci ambedue in caccia.

— Addio, almea. Fra dieci minuti voglio averti nelle mie mani.

Fathma alzò le spalle con disdegno e prese il sentiero di destra allontanandosi lentamente e senza produrre il menomo rumore. Elenka la guardò a lungo sogghignando, si gettò sul sentiero di sinistra, poi, quando fu persuasa che l’almea era tanto lontana da non udirla, invece d’imboscarsi come era stato stabilito, si mise a correre come un antilope verso il limite della foresta.

Corse così per quattro minuti poi emise un fischio debole ma penetrante come quello di un serpente. S’udirono i rami muoversi impercettibilmente, i cespugli s’aprirono con somma precauzione e comparvero i due dongolesi.

— Eccoci, rispose uno di essi. Che dobbiamo fare?

— State bene attenti, disse Elenka con un filo di voce. La mia rivale trovasi imboscata a seicento passi di qui, aspettando che io apparisca per spararmi addosso. Bisogna che io l’abbia in mia mano inerme, anzi legata.

— Non sarà tanto difficile.

— Anzi difficilissimo. È armata di una carabina ed è più astuta di un serpente. Se voi non riuscite ad avvicinarvi a lei senza che abbia ad accorgersene, correrete pericolo di ricevere una scarica in pieno petto.

— Lascia pensare a noi, disse il dongolese. Press’a poco dove trovasi imboscata?