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progetti nel tuo capo; vattene che io non ti cerco. Abd-el-Kerim saprò trovarlo da me.

— Sai chi io sono? disse la greca senza muoversi.

— Non mi curo di saperlo.

— Voglio che tu lo sappi.

— Non abusare della pazienza di Fathma. Irritata diventa una leonessa.

— Ed io una iena assetata di sangue capace di sbranare anche la leonessa.

L’almea fremette di collera e le additò superbamente la porta.

— Fathma, disse la greca con rabbia concentrata. Hai mai saputo tu, che Abd-el-Kerim abbia lasciata a Chartum una fidanzata?

Quella domanda gettata là freddamente fece su Fathma l’effetto di un morso al cuore. Ella balzò indietro gettando un ruggito furioso, coi denti convulsivamente stretti, pallida d’ira e le sue braccia s’allungarono verso un tavolo sul quale stava un jatagan snudato.

— Chi sei?... Chi sei?... gridò con voce strozzata.

Elenka svolse lentamente il taub e lo gettò a terra. Ella apparve dinanzi all’almea vestita colla sua casacchetta a maniche strette con sottili spallini listati in oro allargantisi in punta, colla sua tunica a pieghe, stretta in vita e che non oltrepassava il ginocchio, cinta da una fascia di seta rossa e oro, bella, superba, affascinante nel suo costume greco. Ella posò una mano sul calcio di una pistola e l’altra sul pugnale passati nella cintura.

— Guardami in volto, Fathma, io sono Elenka la fidanzata dell’arabo Abd-el-Kerim!...

— Elenka! esclamò Fathma con accento feroce.

Le due rivali si erano raccolte su se stesse come per islanciarsi l’una addosso all’altra; l’almea aveva impugnato l’jatagan e la greca aveva levata la pistola e l’aveva armata. Esse si squadrarono per alcuni istanti provocandosi collo sguardo.