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— Io rapirla! esclamò la greca.

— E perchè no? Tu sei forte, astuta, conosci Hassarn e Dhafar pascià, e tutto puoi. Se rifiuti io spezzo il cuore al mio rivale.

La greca lo guardò per alcuni istanti in silenzio cogli occhi accesi; una subitanea idea le balenò in mente e l’afferrò di volo.

— Accetto, diss’ella colla maggior tranquillità.

— Me la porterai proprio qui?

— Sì, qualora io riesca a rapirla. Se per te è impossibile a trarla in agguato per me sarà difficile, tu ben lo sai.

— Non ti dico di no, ma farai quello che potrai. Se non riesci allora cercherò io qualche altro mezzo più violento. Quando parti?

— Subito, se così vuoi. Mi darai per aiutarmi i due dongolesi.

Il greco fece un cenno a Fit Debbeud che stava seduto lì vicino. Subito dopo tre mahari accuratamente bardati vennero condotti vicino a Elenka che esaminava la batteria di una carabina Martini.

— Sorella, le disse Notis. Non tentare nulla contro l’almea se non vuoi che capiti sfortuna ad Abd-el-Krim.

— Non temere di nulla: mi frenerò.

I mahari vennero fatti inginocchiare ed Elenka e i due dongolesi salirono in sella.

— Che Iddio ti protegga, sorella, disse Notis gravemente.

— E che Iddio protegga Abd-el-Kerim, rispose su egual tono la greca. Non dimenticare che muore di fame.

L’ich! ich! venne emesso dai due dongolesi e i mahari partirono di corsa inoltrandosi su di un largo sentiero coperto di alfek spinoso e fiancheggiato da grandi ardeb (tamarindi) dai rami lunghissimi ed assai flessibili sui quali strillavano e facevano mille versacci bande di scimmie di un pelo verde-dorato bellissimo (cercopithceus fistulosa).