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st’ultimi con delicatezza materna, egli pose in rilievo in due capitoli davvero preziosi, additando con pietà i rimedii per essi. Sembra animato da una fede nuova e viva allorchè raccomanda caldamente alle madri di conoscere le inclinazioni dei loro figli, egli stesso tentò con tanto amore lo studio dei bambini, che par quasi abbia intraviste le molte attrattive e la grande utilità dello studio dell’infanzia, di questo ramo d’oro della pedagogia, che appassionerà tutti i cultori di scienze educative del secolo XIX.
Certo queste pagine mirabili di psicologia muliebre e infantile mancano al Dialogo del Dolce, che in confronto al «Trattato dell’Educazione delle Figlie» appare scolorito e povero: tuttavia ci piace di notare come il primo italiano e francese che si sono proposti di studiare seriamente la donna, abbiano ugualmente desiderato di crescerla alla famiglia, e l’abbiano preparata a questo ministero quasi con la stessa educazione intellettuale e morale. É consolante il vedere come nel dialogo di uno dei nostri pedagogisti italiani, troppo spesso dimenticati, vi sia il nocciolo del lavoro più compito e geniale di educazione femminile di cui va giustamente gloriosa la Francia nel secolo XVII.
Gli altri pedagogisti italiani del cinquecento restringono piuttosto che allargare le idee del Dolce, benchè non manchino spesso di profonde osservazioni particolari.