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le vivande che ci vengono dalle mani delle nostre sorelle e mogli, di quelle provenienti dai servi».

Cosicchè nel pensiero del Dolce sull’educazione intellettuale predomina quella religiosa e morale, e direi quasi anche casalinga, mentre prima di lui quei pochi che avevano scritto della donna si erano fermati quasi esclusivamente a considerarne l’istruzione: in ciò il Dolce supera i suoi predecessori.

Non solo, ma mi pare di scorgere in lui un precursore di Francesco Fénelon. Questi nel «Trattato dell’Educazione delle Figlie» studia per il primo scientificamente la questione della donna, partendo non da concetti fisiologici, nè psicologici, ma sociali; considerandola cioè come centro dell’umana famiglia e educandola per essa. Ma se il Dolce non ha fatto tale premessa non la istruisce forse e non la educa con lo stesso intento? Anche il Fénelon è indotto a scrivere dall’osservare che non «havvi cosa tanto negletta quanto l’educazione femminile»

e pur egli, senza stabilire un profondo confronto fra l’uomo e la donna, ritiene che, dotati di diverso organismo, l’uno e l’altro abbiano pure diversa tempra mentale. Per entrambi lo scopo è di farne non delle scienziate, ma delle donne amanti della casa, quindi essi si preoccupano più di tutto della loro educazione morale e religiosa.

Come l’erudito veneziano, il Fénelon vuole per tempo elevare l’animo della bambina alle contemplazione del vero per mezzo di tavolette, all’amore