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Dolente perchè nessuno ancora abbia scritto sull’educazione femminile, egli, primo in Italia, tratta di proposito questo delicato argomento proponendosi di formare un’impareggiabile fanciulla, sposa e vedova, perchè ritiene che «niuna cosa al riposo de’ mortali è più necessaria che insegnar virtù e modesti costumi alla donna, in tutti i bisogni della vita compagna dell’uomo».

E pensa a lei appena schiude gli occhi alla luce, la madre la nutra per darle salute e amore e buone inclinazioni: vegli i suoi giuochi, e, come Aristotile consigliava, faccia in modo che «siano quasi un abbozzo di tutta la vita che dee tenere casta et virtuosa donna». Con lo Stagirita, Platone, Quintiliano, Leon Battista Alberti ed altri, il Dolce riconosce l’efficacia morale della favola, quindi consiglia di narrarne alla bambina per stimolarla alla virtù e all’amore di Dio. La madre poi sia un modello vivente di saviezza, e tutte le persone che avvicinano la figlia sua le insegnino il bene operandolo, trattandola con amorevole severità, ricordando essere bene che «pianga e s’attristi essendo fanciulla perchè possa ridere e vivere lieta quando sarà attempata».

E le prepara un piano di studii da seguirsi non dissimile da quello suggerito dal Vives e da Erasmo, benchè qua e là siano palesi in lui molte reminiscenze di Aristotile, Quintiliano, S. Girolamo. Egli è ben lontano dal credere che l’istruzione renda la