Pagina:La donna italiana descritta de scrittrici italiane, 1890.djvu/220


— 194 —


secondo la definizione data, nel novero delle operaie, la quale, specialmente nelle nostre provincie montagnose, è destinata ai più rozzi lavori: zappa la vigna, sarchia il grano e il frumentone, taglia le legna al bosco, porta degli enormi pesi sulla testa, è assoggettata alle più crudeli fatiche. E tutto questo, unito alla cattiva nutrizione, ha per risultato la vecchiaia precoce, le sconciature, le malattie pericolose e spesso la morte.

Certo, signore, considerando le operaie sotto così odiosi aspetti, delineando della donna del popolo una monografia così severa, parrebbe quasi opera umanitaria che la donna non frequentasse più le fabbriche, gli opificii, non lavorasse più in campagna, per non ingrandire, fomentare il disordine nelle famiglie, le malattie, l’immoralità.

Ma noi invece dobbiamo guardare le operaie dal lato migliore, il più vero, persuadersi che esse sono necessarie, più che non si creda, allo sviluppo della moderna società.

Certamente nella gran massa delle operaie, come del resto in tutte le altre classi sociali, se ne troveranno, anzi ce ne sono, delle viziose, inumane, civette.

Ma nell’immensa maggioranza, nella quasi totalità, quante anime buone, quante oscure eroine, quante vittime, signore, dell’onestà, del lavoro!

Se le pareti di tante povere case operaie potessero parlare, attesterebbero i sacrifizii di tante madri, la virtù di tante fanciulle, le loro veglie, gli stenti, le abnegazioni spinte fino al sublime!

Niuno può negare esservi nella società tali condizioni, nelle quali le pratiche del dovere, della virtù, sono più difficili a compiersi, epperò più meritorie delle altre.

Credete che la donna operaia non soffra nell’abbandonare i suoi figli, per rinchiudersi in una fabbrica, in un opificio?

Ma ella pensa che se non lavora, non avrà di che nutrire i suoi cari, perchè l’opera del marito non basta a provvedere ai bisogni della famiglia, oppure il marito stesso è privo di lavoro, malaticcio.

E qual’è la madre che non sopporterebbe con gioia i più faticosi lavori, non condurrebbe la vita la più dura, piuttosto che intendere i pianti dei proprii figli, sentirli pronunziare con fioca e lamentevole voce — Ho fame!

Frase di disperazione, signore, che strazia l’anima, che uccide!

Tormento atroce, ben superiore alle forze del cuore di una madre!