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farò dunque che rimandare i miei lettori, che volessero occuparsi di ciò, agli ultimi capitoli della recente pubblicazione La Donna e i suoi rapporti sociali.

Saremmo ingiusti però se non accennassimo alla sanzione del matrimonio civile dal Senato, apposta alla proposta ministeriale. Se, come in questo, in altro ordine di cose avesse questa ririspettabile magistratura tenuto conto dei tempi che corrono, del grado attuale di civiltà, del grande e precoce sviluppo dell’attuale generazione, dell’indirizzo politico che il paese ha assunto, dei liberi e giovani principii in nome dei quali è risorto e che reclamano più libere norme di vita civile, certo non si sarebbe mostrata così soprafatta dal progetto del ministro.

Fra l’Italia del secolo decimonono e l’Italia di Giustiniano v’è l’abolizione della schiavitù, v’è l’abolizione del feudalismo, vi sono secoli e secoli. Come va dunque che a si enorme distanza, la voce di Cicerone e di Triboniano suona più alto all’orecchio dell’italico Senato che non l’opinione pubblica, il grido della filosofia, i voti unanimi di tutto un secolo e di tutta una nazione che gli romoreggiano intorno?

Come va che questo venerabile consesso, già tanto benemerito al paese per senno politico e legislativo, si volga indietro ad ogni passo a consultare l’adorato Digesto, e cento volte ed in cento maniere ripeta affannoso all’ardito ministro, badate, che non s’è mai fatto così?