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perdura oltraggiosamente per la donna, e le ragioni, che la relazione ne adduce, non sono tali da farla perdonare. Queste ragioni sono la pubblicità dell’ufficio tutorio e le cure domestiche.
Il progetto comincia col chiamare la madre alla tutela; dietro a lei, e per corollario logico, le ascendenti; poi considera, che il nipotismo ha sempre giocato una gran parte nel dramma sociale, e che ad una donna, che non ha famiglia propria, i nipoti la costituiscono naturalmente. E va bene. Ma ad un tratto il progetto s’arresta sullo sdrucciolo pendìo, s’accorge che la tutela è un ufficio pubblico, e come tale non conviene alla donna; e taglia netto il filo delle concessioni. Indarno forse gli si farà osservare che la tutela è una maternità, e che per conseguenza, pubblica o privata ch’ella sia, non v’ha funzione più addicevole alla donna di questa. Il progetto non risponde, ma s’è incaponito di non dare pubblica gestione alla donna. Gettiamo dunque il guanto alla pubblicità.
1Che cos’abbia di pubblico, in atto pratico, la tutela, per vero dire non si saprebbe, dacchè si esercita fra le mura domestiche; che se il contatto con un magistrato ed un tribunale pupillare è tutto ciò che ne costituisce la pubblicità, in tal caso possiamo ben dire di vivere tutti pubbli-
- ↑ Relazione del ministro. «Il principio d’eguaglianza, a cui s’informa il progetto, non sembrò doversi estendere sino ad ammettere per regola la donna all’esercizio d’un pubblico uffizio».