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Augusto, che non volle contribuire all'imbarbarimanto sostanziale causa che provocò tutte le altre, e con esse il crollo della potenza romana.
La apprenderanno dunque all’Università, quei pochi tra essi che sceglieranno gli studi letterari? Così fosse! Ma all'Università si è troppo occupati nello studiare quel che al riguardo sostenne il Mommsen, o il Meyer, o Gino Segrè, oppure Aldo Segrè (tutti bei nomi italici, come si vede), si è troppo occupati nel frazionare, disintegrare, polverizzare la cultura... e non si ha naturalmente il tempo di risalire ai principi generali.
La causa della decadenza e del crollo dell'Impero di Roma, che è poi (considerata nell'aspetto inverso) la causa stessa della nascita e della potenza di quell'impero, rimane dunque nell'ombra; mentre di piena luce sfavillano i bei nomi italici di cui sopra e le loro non meno italiche teorie.
[L'AFFIEVOLIRSI DEL SENSO DELLA RAZZA] Eppure, si tratta di una causa semplice e chiara, facilmente enunciabile e ancor più facilmente comprensibile: dell’affievolirsi, cioè, fino a scomparire, del senso della razza italica e delle sue tradizionali virtù. Non si dica che v'è circolo vizioso in quanto sosteniamo; e che l'affievolirsi del senso della razza è a sua volta effetto e non causa; poiché nessuna tra le ragioni addotte comunemente, e neppure l'insieme di tali ragioni, vale a spiegare un fenomeno tanto complesso e profondo quale è quello della progressiva decadenza dell'antica Roma.
Del resto, un esempio concreto, uno dei più clamorosi esempi che la storia di Roma può offrire al riguardo, varrà meglio di qualsiasi disquisizione a fare intendere l'enorme importanza del fattore «razza», nella parabola discendente della romanità. Vogliamo riferirci alla «Costitutio Antoniniana», cioè al famoso editto col quale Caracalla concesse, nel 212 dopo Cristo, la cittadinanza romana a tutti i provinciali — «Oh, il grande imperatore! Oh, l’illuminato provvedimento!» — esclama la solita critica storica; e intona inni alla civiltà livellatrice dei Romani, alla missione universale di Roma... Chiariremo in seguito quel che si debba intendere per missione universale di Roma; occupiamoci adesso dell'«illuminato provvedimento» di cui sopra e cerchiamo di stabilirne i precedenti, le cause, le conseguenze.
[L'EDITTO DI CARACALLA] Dione Cassio racconta («Storia romana», 52, 19, 6) che avendo Mecenate consigliato ad Augusto qualche cosa di simile all’editto di Caracalla, egli non soltanto rifiutò di estendere ai provinciali i diritti dei Romani, ma dissuase Tiberio dal lanciarsi in avventure del genere. La testimonianza di Dione ha particolare valore, poiché ci proviene da un provinciale (Dione era greco, di Nicea), il quale dimostra molta tenerezza nei riguardi dell'editto di Caracalla; e sarebbe quindi assai lieto di potergli trovare un precedente così illustre come quello di Augusto.
[IL BUON SENSO DI AUGUSTO] Ancor più significativa la testimonianza di Seneca, il quale nella «Apocolocyntosis» — ovvero «Zucchificazione » — si burla di Claudio e ringrazia gli Dei d'averlo fatto morire a tempo, poiché sembra che egli meditasse di «veder rivestiti della toga (cioè cittadini romani) tutti i Greci, i Galli, gli Spagnoli, i Britanni». La debolezza di Claudio è ben nota e non ci stupisce, da parte sua, un simile proposito; ma è di estrema importanza il fatto che a riprenderlo sia proprio Seneca, il quale e dalla sua origine provinciale e dalle premesse cosmopolitiche dello stoicismo da lui seguito, poteva essere indotto a considerare con simpatia una politica di livellamento. Ma il senso della razza romana era al tempo di Seneca, ancor tanto vivo e robusto, che l'estensione della cittadinanza — cioè del distintivo fondamentale della razza — doveva sembrare ridicolo vaneggiamento anche ad uno stoico provinciale.
Gli imperatori della «gens Julia», genuini rappresentanti della razza italica, si tennero dunque lontani — a parte il proposito di Claudio, che rimase proposito — dalla politica di livellamento. Il primo gravissimo passo verso tale politica fu fatto da Vespasiano, il quale esonerò gli italici dal servizio militare. Il provvedimento fu, in verità, dettato da una giusta preoccupazione: quella di evitare che l'Italia fosse continuamente il campo di sanguinose lotte civili; e d'altra parte Vespasiano era troppo buon imperatore e troppo salde erano in lui le radici della stirpe romana, perchè egli potesse prendere decisioni contrastanti con il prestigio di Roma. Ma le conseguenze dell’esenzione dal servizio militare furono, per gli italici, gravissime; poiché estraniarono dalla penisola una delle più grandi forze dell'Impero; e determinarono, alla lunga, l'infiacchimento della razza, che per le virtù militari si era sempre luminosamente distinta.
Comincia poi la serie degli imperatori provinciali; e la crisi si aggrava. Adriano, di famiglia spagnola, decreta l'istituzione della circoscrizione territoriale nelle province, dando così a ciascuna di esse una forza
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