Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— xviii — |
quasi scusata quella di buffa memoria dei clàssici e dei romàntici. Vuolsi che essa scoppiasse al primo apparire in commercio delle fotografie colorate di Zola. La gàrrula turba de’ letterati si partì allora in due campi — diciàmoli meglio, stàbuli — e gli uni si buttàrono tosto a ginocchi ed accèsero i lumi dinanzi a quella forma di arte perchè imaginàronsi che fosse nuova, gli altri si pòsero a tirar sassate contro di essa e a fischiare, principalmente istizziti da quella riputazione di novità. Il realismo, intanto, stava a guardare dal libro di Omero.
Ma il bello è, che, a confòndere maggiormente le idèe, e fautori e avversari, stroppiando il senso di quel frasone empibocca, incapàronsi di fargli significare, là a titolo d’onore, quà di disdoro, quella parte soltanto di letteratura che studia e descrive le voluttà della carne e le turpitùdini umane. A chi si debba tale spilorcia interpretazione non sappiamo. Sappiamo solo, che, nella realtà, se c’è il male colle sue innùmeri fronti, c’è pure il bene in tutti i sorrisi suòi. Al realismo o verismo possono quindi appartenere con pari diritto tanto le dipinture di una cloaca, di un ubbriaco che rece, di cani che s’accòppiano in piazza, quanto quelle di un fragrante roseto, di un eròe che