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grazio e miti e spietati, perocchè a me giova tanto la lìrica di chi mi ama quanto la sàtira di chi m’odia. Per pensare, per scrivere, per vivere intellettualmente mi è indispensàbile che le molècole, ora pigre, del mio cervello, riaquistino la primitiva rapidità e combustibilità. Venga la spinta dall’applàuso, venga dall’oltraggio, a mè basta che non difetti. Ad un morso di cane, Gerolamo Cardano, bizzarramente grande, dovette (com’egli narra) il suo ingegno; a quello dei crìtici dèbbono il loro non pochi scrittori. Un vento infatti è la crìtica, che, se i mòccoli spegne, ingagliarda i falò.

Non se ne offendano, tuttavia, i miei postillatori benèvoli; tù Cletto Arrighi, tù Primo Levi, tù Perelli, tù Paolo Mantegazza, tù Cameroni, tù Capuana, tù Màyor. Oltre la riconoscenza del letterato, vi ha quella pure dell’uomo e questa è tutta per voi. Se la frusta ed il pùngolo instìgano il sangue e più spedito lo rèndono a’ suòi uffici, lo plutonizza ancor meglio il bacio, senapismo d’affetto. E ciò dico, mentre rammèmoro in special modo coloro che hanno e saputo lodarmi senza l’ingiuria dell’adulazione e fatto spiccare il mio disadorno pensiero nella cornice del proprio. Vorrèi anzi ammirare le loro felici pensate, colle mie fuse, nella presente edizione; mi ci provài; ma ¡mi