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ternamente dagli uffiziali superiori; le divisioni dai capitani; gli squadroni dagli uffiziali subalterni, e i plotoni dai sergenti e caporali, a scopo d’ingrandir la sfera d’azione dei vari gradi, accrescerne l’emulazione, e il bisogno d’acquistar cognizioni.

La pratica non basta per coloro che hanno la nobile ambizione di rendersi utili alla nazione ed al suo esercito; — non basta per essere iniziati in tutto lo scibile della guerra; ma ci vuole uno studio di regole e principii, altrimenti si va da cieco o si dipende dal caso. Gli antichi erano talmente convinti della necessità della teoria e della insufficienza della pratica, che avevano stabilito scuole pubbliche, in cui s’insegnava l’arte della guerra, che con questo mezzo portarono a perfezione.

Napoleone I riconosceva che l’esperienza della guerra, la pratica dei combattimenti e le maggiori virtù guerriere non bastano a formar buoni uffiziali, senza un corredo d’istruzione tattica ed intellettuale, che non s’acquista in mezzo al fuoco, ma che dà lo studio e la meditazione sui libri. — Collo studio, un capitano può saper ciò che deve fare quando sarà generale: — se lo aspettasse allora, non sarebbe a tempo, perchè bisogna aver la capacità d’esercitare una carica prima di poterla onorare1.

La pratica e l’esperienza, non guidate dallo studio e dalla riflessione, a nulla valgono; ed è per questo che vediamo talvolta coloro che comandano, non abbastanza arditi per isquadronare altrimenti che fu insegnato, e molte volte neppure riflettere se l’evoluzione che fanno sia o no opportuna; sia o no cattiva. Credono sempre che il regolamento d’esercizio vada seguito alla lettera, e non sanno capacitarsi che invece dà precetti capaci di più alte combinazioni.

La teoria deve preceder sempre la pratica, perchè l’uomo che non avesse studiato e meditato i principii dell’arte, potrebbe aver forse colla sola pratica qualche successo momen-

  1. «Non loca viros sed viri loca faciunt honorata.» — Agesilao in Plutarco.