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V’è dunque utilità economica nella formazione di questo corpo che costituirebbe soltanto per la guerra una spesa necessaria e temporanea; mentre durante la pace, la spesa per tenerne un 500 montati per poter dare la necessaria istruzione pratica ai 3 o 4000 che vi s’impiegherebbero, sarebbe largamente compensata dal nuovo ordinamento ch’io propongo.

Premessi questi principii e stabilita la nuova costituzione tattica della cavalleria sopra una riga, e d’una sola e medesima specie d’arma; i 20 reggimenti di cui si dovrebbe comporre avrebbero 160 squadroni della forza complessiva in tempo di pace di 20,840 uomini e 12,220 cavalli di truppa compresi gli Stati Maggiori, e 22,960 uomini e 15,020 cavalli in tempo di guerra.

Coll’aumento di 46 squadroni sulla cavalleria attuale non ho accresciuto che un solo reggimento, perchè nella composizione di grossi reggimenti si trovano congiunti l’economia e i progressi dell’arte, avendo essi il vantaggio di meglio formare gli uffiziali superiori, e di evitare le spese inutili impiegate a pagare quei numerosi stati maggiori necessari ad un maggior numero di reggimenti.

Ogni reggimento sarebbe perciò formato da 8 squadroni,


    non siano ammesse, fu tale e tanta l’opposizione che incontrò in alto dagli oppositori sistematici di tutto ciò ch'è miglioria e progresso, che anche quel progetto cadde a vuoto.
         Su tale proposito mi giova rammentare come Napoleone I ebbe fin dal 1806 la stessa idea ugualmente abortita, ed ecco com’egli stessa la racconta:
    «Si sarebbero resi utili i piccoli cavalli Lorenesi e delle Ardenne poco alti alla cavalleria regolare. Si sarebbero presi gli uomini piccoli, di taglia non sufficiente ai belli reggimenti di cavalleria; ma peraltro ugualmente buoni e più agili. Questi Panduri avrebbero potuto completarsi in tutti i paesi, fare il servizio d’esploratori e risparmiar molto la cavalleria. L’ordine fu dato; ma poco dopo vi rinunciai dietro le osservazioni dei miei generali, ed ebbi occasione di pentirmene.» — Jomini. Vie politique et militaire de Napoléon. Tomo 2, pagina 256.