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L’insuccesso d’una carica non è sempre prodotto da difetto d’ardore e d’audacia nei cavalieri; ma molte volte da un suolo sdruccievole, molliccico, inuguale, coperto da ostacoli, da neve, da gelo; e spesso anche da mancanza d’impulso, di vigore, d’assieme, per aver cominciato il movimento troppo lontano1. Nondimeno valenti uffiziali, usi a bonaccie e a fortune, non si scoraggiano per così poco; raccolgono la loro gente, gl’infondono novello ardire; parlano severamente a chi s’è mal condotto, riordinano la truppa con tutta calma, e si preparano a migliore occasione.

Il movimento più favorevole per dar la carica è quando il nimico passa da una formazione all’altra, o per cambiar posizione o allo sboccare d’una stretta. Allora qualunque sia l’ordine in cui uno si trova, si prende subito il galoppo e si tenta rompere l’avversario prima che abbia potuto riformarsi.

In certi casi eccezionali, il capo d’un corpo di cavalleria non deve temere d’entrare in azione, anche senza averne ricevuta ordine; qualora scorga l’opportunità di far male al nimico, o evitare un rovescio alle truppe vicine.

Una volta cominciata la carica non bisogna fermarsi a metà, tranne il caso d’ostacoli insuperabili che s’affaccino d’improvviso; ma questo caso bisogna evitarlo, col non avventurarsi mai ad una carica senza prima aver fatto esplorare la posizione dinanzi e sui fianchi da alcuni uomini isolati, affinchè non succeda come alla cavalleria francese a Wagram, che per aver trascurata cotesta precauzione fu arrestata con gravi

  1. Il capitano di Stato maggiore austriaco Massimiliano Thyr così chiude la sua narrazione sul fatto d’armi a NogaredoVerso il 26 luglio 1866: «Prima di chiudere, noi vogliamo però consacrare una parola d’elogio alla bravura ed allo slancio, di cui diede prova la cavalleria nemica, dobbiamo però aggiungere che non seppe a tempo opportuno risparmiare le forze e la lena dei cavalli. Anche a grandissima distanza la si vide avanzare a galoppo allungato, per cui nel momento dell’urto si trovava avere sprecato inutilmente una parte delle forze dei propri cavalli.» — V. Rivista militare italiana. Agosto, 1867, pag. 199.