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la capanna dello zio tom


Haley comparve in quel punto sulla verenda. Rabbonito da alcune tazze di caffè eccellente, mostrava di sorridere, e conversava col solito suo buon umore.

Samuele e Andrea, messasi in capo una strana acconciatura di foglie di palma intrecciate a foggia di cappello, corsero difilati verso i cavalli.

Il berretto di foglie che copria il capo di Samuele non era stato ingegnosamente tessuto; le treccie, scompostesi agli orli, penzolavano da amendue le parti; ciò che gli dava un non so che di alterezza, di indipendenza che avrebbe convenuto assai bene ad un capo delle isole di Fedii. L’acconciatura di Andrea non aveva più orli; ma egli, con un colpo di pugno ben assestato, se la calcò sulla testa, guardando intorno con un’aria di soddisfazione, quasi volesse dire: chi potrebbe negare che io m’abbia un cappello?

— «Su, su, figliuoli miei! — gridò Haley — non abbiamo tempo da perdere.»

— «Non ne perderemo, padrone» rispose Samuele, mettendogli in mano le briglie e tenendo ferma la staffa, mentre Andrea slegava dall’albero gli altri due cavalli.

Non sì tosto Haley ebbe toccata la sella, il cavallo spiccò un salto così repentino, che gittò a gambe levate e prosteso sull’erba il malarrivato suo padrone. Samuel corse subito per afferrare le briglie; ma non fece che metter le punte del suo cappello di palma negli occhi dell’animale; il quale, vieppiù irritato, e spinto a terra Samuele, dopo due o tre calci lanciati furiosamente in aria, prese a correre velocissimo verso l’altra estremità della pianura; Bill e Jerry, che Andrea sollecitamente avea slegati, gli tenner dietro, eccitati più che mai dalle grida dei negri. Nacque allora un baccano indescrivibile; Samuel e Andrea correvano gridando a tutta gola; i cani abbaiavano; Mike, Moisè, Mandy, Fanny e tutti li altri domestici, uomini donne e fanciulli di ogni colore, accorreano, battean le mani, strepitavano, affettando una premura che riusciva assai più intempestiva che utile.

Il cavallo di Haley, giovane, pieno di brio, parea avesse un gusto matto di secondar quella farsa; dopo aver galoppato pressochè un mezzo miglio all’intorno, nel più bello che qualcuno gli si avvicinava e già credea di afferrarlo, spiccava un salto e ricominciava a correre più che mai per le viuzze del bosco. Samuele mirava a tutt’altro che a fermar presto i cavalli, anzi i suoi sforzi per conseguire lo scopo opposto furono veramente eroici. Come la spada di Riccardo Cuor di Leone, che splendea sempre in prima linea e nel più forte della mischia, sventolava sempre il cappello di Samuele dove qualche cavallo correa pericolo di esser preso; nè ciò gli toglieva di gridare a tutta gola: — fermatelo! fermatelo! — sicchè riusciva a farlo fuggire più veloce che mai.