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la capanna dello zio tom




CAPO XL.


Il martire.


La giornata più lunga ha pur essa una sera — la notte più tenebrosa ha pur essa un mattino. Una serie eterna, inesorabile, di momenti spinge il giorno del malvagio ad una perpetua notte, e la notte del giusto ad un giorno immortale. Abbiamo errato già abbastanza coll’umile nostro amico nella valle della schiavitù; dapprima, tra campi fioriti, tra li agi e i comodi della vita; abbiam quindi assistito alle crudeli separazioni di quanto avea di più caro. L’abbiamo seguito in un’isola fortunata, ove mani generose nascondevano sotto fiori le sue catene; e finalmente in un luogo ove si spensero li ultimi raggi di ogni sua speranza terrena. Abbiam veduto come tra quella oscurità desolata gli si rivelasse a un tratto il cielo con tutta la pompa di nuove stelle e di splendori inusitati.

La stella del mattino brilla sulle cime delle montagne; le aurette, i venticelli, che non sono di questa terra, annunziano che le porte del giorno stanno per ischiudersi.

La fuga di Cassy e di Emmelina irritò all’estremo l’animo già esacerbato di Legrée; e la sua collera stava per rovesciarsi, come si potea prevedere, sul capo inerme del povero Tom. Quando, infuriato, annunziò agli schiavi la fuga delle due donne, non era sfuggito al suo sguardo il baleno di gioia che avea brillato improvvisamente negli occhi di Tom, nè l’atto spontaneo delle sue mani innalzate al cielo. Avea veduto che non si era unito allo stuolo degli inseguenti. Sulle prime, avea pensato di costringervelo; ma quindi, riflettendo quanto fosse tenace nel volersi astenere da atti crudeli, non volle, in quel trambusto, intavolar discussioni con lui.

Tom, in conseguenza, rimase addietro, con alcuni pochi che aveano imparato da lui a pregare, e fece voti per la salvezza delle due fuggitive.

Quando Legrée tornò a casa, umiliato, deriso, l’odio che covava da lunga pezza nel cuore contro il suo schiavo, gli ribolliva più feroce che mai. Quell’uomo non l’avea forse provocato, — a viso aperto, risolutamente,