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la capanna dello zio tom


— «Non conosco altro scampo che la tomba — disse Cassy. — Non vi è quadrupede, non vi è uccello, che non trovi qualche ricovero: perfino le vipere, li alligatori hanno un covo dove riposarsi; ma per noi non vi è asilo. Anche tra i virgulti di que’ paduli i loro cani ci inseguiranno, ci scopriranno. Uomini, cose, tutto è congiurato a danni nostri, perfino le bestie; dove possiam fuggire?»

Tom stette alquanto pensieroso, e poi riprese:

— «Quegli che ha salvato Daniele dalla fossa dei leoni; che ha salvato i franciulli dalla fornace ardente — che passeggiava sull’acqua, calmava i venti — è ancor vivo; ed io spero che vorrà liberarvi. Tentate; io pregherò per voi con tutta la mia forza.»

Per qual legge bizzarra dello spirito avvien mai che un’idea lungamente disprezzata, reietta come cosa di nessun valore, ricompare sotto altra forma, e troviamo che la pietra calpestata era un diamante?

Cassy avea ruminato, seco stessa, per ore ed ore, mille disegni di fuga e li avea sempre rigettati, come impossibili ad eseguirsi; ma in quel momento gli brillò alla mente una idea, così semplice, così distinta in tutti i suoi particolari, che si tenne a sicura certezza di buon successo.

— «Zio Tom, farò la prova!» diss’ella improvvisamente.

— «Amen — disse Tom, — Dio vi aiuti?»



CAPO XXXIX.


Lo stratagemma.


Il granaio della casa che Legrée occupava, era, non altrimenti che molti altri granai, un locale vasto, deserto, polveroso, ingombro qua e là di casse, e pieno di ragnateli sospesi alle pareti. L’opulenta famiglia che aveva abitata questa casa nei giorni del suo splendore, avea ivi deposti molti arredi di lusso, alcuni de’ quali erano stati di bel nuovo traslocati altrove, e parte giaceano ancora in camere vuote, abbandonate, squallide dello stesso fabbricato. Appoggiate ai muri del granaio vedevansi ancora