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la capanna dello zio tom


Si scateni il furore del mondo,
   E l’inferno mi vibri il suo stral;
   Non di Satana all’ire mi ascondo,
   E derido ogni rabbia mortal.
Sovra me, qual tempesta infinita,
   Piova orrenda tristezza e dolor;
   Pur che io trovi il conforto e la vita
   Nel mio Dio, nel mio cielo d’amor!

— «Oh! Oh! — disse Legrée tra se stesso; — ecco a che egli pensa! Quanto detesto que’ maledetti inni metodisti! Vieni qua, negro! — proruppe egli, piombando improvvisamente sopra Tom, e levando in aria il frustino — come ardisci schiamazzar tanto, mentre dovresti essere a dormire? chiudi la tua vecchia mascella e ritirati nel tuo giaciglio.»

— «Sì, padrone» disse Tom con ciera allegra, e sorse in piedi per andar via.

Legrée si sentì provocato oltre, ogni credere dall’evidente felicità di Tom; gli corse addosso, e prese a tempestargli di colpi la testa e le spalle.

— «Cane maledetto! — diss’egli; — vedremo, se avrai ancora il tuo buon umore!»

Ma i colpi caddero sull’uomo esterno, e non più, come prima, sul cuore. Tom si sottomise perfettamente; eppure Legrée non potea celare a se stesso che il suo dominio su quello schiavo era svanito. Mentre Tom scompariva nella sua capanna, il padrone voltò altrove il cavallo; ma gli balenò alla mente uno di que’ lampi repentini, di cui spesso è attraversata anche la coscienza più malvagia e più buia. Comprese perfettamente che tra lui e la sua vittima stava Dio, e lo bestemmiò. Quel povero negro, sottomesso, paziente, che nè scherni, nè minaccie, nè crudeltà potean conturbare, suscitò una voce nel cuore di lui, che diceva come quelle del demonio scongiurato dal suo divino Maestro: «Che abbiamo a far con te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a tormentarci prima del tempo?»

L’anima di Tom era piena di amore, di compassione verso le infelici creature che lo circondavano. Avresti detto che ei più non sentiva i travagli della vita; bramava compartir loro, per sollevarne i mali, quel tesoro di pace e d’allegria che gli veniva dal cielo. A dir vero, le occasioni eran rade; ma nell’andare al campo, o nel ritornarne, durante le lunghe ore del lavoro, gli accadea spesso di poter stendere una mano soccorrevole al debole, all’afflitto, allo scoraggiato. Quelle povere creature, seminude, affralite, rese quasi bruti, stentarono sulle prime ad intenderlo; ma quando egli proseguì l’opera sua per settimane, per mesi, cominciò a risvegliare nei loro cuori agghiacciati corde da lungo tempo silenziose. Poco