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la capanna dello zio tom
Da quel punto un’inviolabile atmosfera di pace circondò l’anima del povero oppresso; la presenza continua del Salvatore lo avea santificato come un tempio. Non più li irrequieti desiderii della terra; non più l’alternarsi della speranza col timore — l’umana volontà, già affralita da sì lunghi combattimenti, si era omai unificata affatto in quella di Dio. Gli parea sì breve il pellegrinaggio di questa vita che ancor gli restava — così prossima, così rifulgente la beatitudine eterna — che le peripezie della vita caddero disarmate innanzi a lui.
Tutti si accorsero del cambiamento avvenuto in lui. Avea ripreso quel suo fare allegro, la sua operosità; nè vi era insulto o minaccia che potessero conturbar la sua pace.
— «Che diavolo è capitato a Tom? — chiese Legrée a Sambo. — Or fa qualche giorno era mogio, taciturno, ed ora e vispo come un grillo.»
— «Nol so, padrone; ma forse medita di svignarsela.»
— «Vorrei pure che il tentasse! — disse Legrée con feroce sorriso. — Oh che festa, non è vero, Sambo!»
— «Oh sicuramente! — rispose con aria ossequiosa l’orribile gnomo — sarebbe pur bello vederlo, tra il pantano, aggrapparsi ai virgulti, coi mastini alle calcagna! Oh signore! io mi sbelicai dalle risa quando abbiamo agguantata Molhy. Credea che i cani l’avrebber straziata tutta, prima che si avesse tempo di liberarnela; che porta ancora i segni.»
— «E credo che li porterà alla tomba — disse Legrée. — Ma ora, Sambo, sta ben attento; se quel negro avesse voglia di tentar qualche cosa di simile, dagli subito uno sgambetto.»
— «Ci penserò io, padrone — disse Sambo; — saprò metter la mano sopra il leprotto!»
Questo colloquio ebbe luogo mentre Legrée montava in sella per avviarsi alla città vicina. Quella sera, tornando a casa, credette deviare dal consueto cammino per accertarsi se intorno al quartiere tutte le cose erano in punto.
Facea un magnifico lume di luna, e le ombre dei graziosi alberi della Cina designavansi minutamente sopra l’erba; vi era nell’aria quella serenità trasparente che pare quasi un sacrilegio il conturbare. Legrée trovavasi a poca distanza dai quartieri, quando gli giunse all’orecchio una voce che cantava. Non era solito a udir romori in quel luogo, quindi soffermossi alquanto. Una voce armoniosa da tenore cantava:
Quando io leggo la mia ricompensa
Scritta a note di fiamma lassù,
Quella tema, che in cor mi si addensa,
Caccio, e l’occhio non lacrima più.