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la capanna dello zio tom


Tuttavia, questa notte, ne’ suoi sforzi febbrili per cacciar di mente quelle funeste memorie, argomento de’ rimorsi, che nel suo cuore risorgevano, avea trincato più del solito; per modo che, accommiatati i due aguzzini, cadde sopra una seggiola e fu subito profondamente addormentato.

Come mai l’anima del malvagio osa avventurarsi nel mondo fantastico dei sogni? in quella regione i cui limiti indefiniti sono così prossimi alla scena misteriosa di un giudizio finale! Legrée sognava. Nel suo letargo, grave, febbrile, gli sorse accanto una forma velata, e stese una mano fredda, leggera sopra di lui. Gli parve di ravvisarla; e quantunque quella faccia fosse velata, il sangue gli si agghiacciò per l’orrore. Gli parve quindi che quella ciocca di capelli gli si avvolgesse intorno alle dita; che lo stringesse, leggerisima, intorno al collo, sempre più lo stringesse, talchè gli venia meno il respiro; che strane voci gli bisbigliassero all’orecchio — voci che lo faceano rabbrividire. Gli parea quindi si trovasse sull’orlo di un abisso spaventevole, che brancolasse, si dibattesse in una mortale agonia, mentre mani nere sorgeano dal profondo, lo afferravano per trarlo giù; e Cassy, sogghignando, gli venla a tergo e gli dava la spinta. Gli levò quindi dinanzi agli occhi quella solenne figura velata, e si trasse il velo da un lato. Era dessa sua madre; si allontanò da lui, e cadde abbasso, abbasso, giù nel profondo, tra un frastuono confuso di grida, di lamenti, di sgangherate risa infernali — e Legrée si svegliò.

La rosea tinta dell’aurora penetrava tranquillamente nella sua camera. La stella mattinale, adorna del solenne, divino suo raggio, guardava, da un cielo serenissimo, sul figliuolo della colpa. Oh come il sollevarsi del giorno e circondato di maestà e di bellezza; quasi volesse dire all’uomo insensato: «Contempla, tu hai ancora una speranza! soffri per la gloria immortale!» Questa voce si manifesta in tutte le lingue; non vi è che il superbo, il malvagio, che non siano capaci d’intenderla.

Legrée, nello svegliarsi, pronunziò una bestemmia, un giuramento. Che erano mai per esso quell’oro, quella porpora, quel portento luminoso del mattino? Che gli importava di quell’astro, che il figliuolo di Dio ha quasi fatto suo emblema? Simile al bruto, vide, ma non intese; si levò vacillando, si versò un bicchiere di acquavite e ne bevè la metà.

— «Che notte infernale ho passato io!» disse egli a Cassy, che entrava, appunto allora, dall’uscio opposto.

— «Ne avrete a passar molte altre consimili» disse quella ruvidamente.

— «Che intendi dire, pettegola?»

— «Lo saprete uno di questi giorni — rispose Cassy, collo stesso accento di voce. — Per ora, Simone, non avrei che a darvi un consiglio.»

— «Tu sei il demonio!»