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la capanna dello zio tom


— «Non voglio dir oltre; rifuggo dal pensarlo. Sa Dio solo ciò che vedrete domattina, se quel povero negro continua come ha cominciato.»

— «Che orrore! — esclamò Emmelina, e divenne pallidissima. — O Cassy, ditemi che debbo fare?»

— «Ciò che ho fatto io. È il meglio che si può fare; fate ciò che siete costretta a fare, e consolatevi in odiare, in maledire.»

— «Voleva indurmi a bere di quella sua acquavite che detesto — disse Emmelina — ah, la detesto veramente!»

— «Bevetene per vostro meglio — disse Cassy. — Anch’io la detestava; ed ora non posso viverne senza. Qualche distrazione bisogna averla. Certe cose si spogliano del loro orrore a misura che le praticate.»

— «Mia madre — riprese Emmelina — solea raccomandarmi di non gustar mai cose tali.»

— «Solea raccomandarvelo vostra madre! — disse Cassy, premendo sulla parola madre con enfasi amarissima. — E che giovano le raccomandazioni d’una madre? Siete destinata ad esser venduta, pagata, e l’anima vostra appartiene a chi vi compera. Non vi è modo di uscirne. Bevete acquavite, vi ripeto; bevetene più che potete; vi renderà meno intollerabili certe cose.»

— «Oh, Cassy, abbiate pietà di me!»

— «Pietà di voi? Non la sento io forse? Non ebbi anch’io una figliuola? Dio solo sa dove ella si trova e in mano di chi. Percorre, suppongo, la stessa via di sua madre, i suoi figliuoli seguiran quella di lei! È una maledizione senza termine!»

— «Vorrei non esser nata!» disse Emmelina, stringendo le mani.

— «Ho anch’io da gran tempo lo stesso desiderio — disse Cassy: — e questo desiderio è diventato abitudine. Vorrei morire, se ne avessi il coraggio», riprese ella, guardando fra le tenebre, e con quell’espressione di muta ma profonda disperazione che le si era fatta abituale, quando la sua faccia era tranquilla.

— «Oh sarebbe peccato il suicidio!» disse Emmelina.

— «Non conosco il perchè; non sarebbe peggior cosa di tante altre che facciamo quotidianamente. Ma le suore, quando era in convento, mi disser cose che mi fanno temer la morte. Se questa non fosse che un termine dei nostri dolori, oh allora!...»

Emmelina si volse altrove, e nascose la faccia tra le mani.

Mentre le due donne conversavan tra loro, Legrée, sopraffatto dalla crapola, si era addormentato nella camera disotto. Non era solito ubbriacarsi. La sua tempra, rozza e robusta, potea comportare un continuo eccitamento che avrebbe logorata e sfinita una complessione più debole. Ma la sua profonda oculatezza lo avvertiva a non abbandonarsi che raramente ad un eccesso di bere, per cui avrebbe perduto il dominio di se stesso.