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la capanna dello zio tom
mosa e l’ingegno del padre. La piccola Elisa, diceva egli, somigliava a me. Solea dirmi che io era la più bella donna della Luigiana, che egli andava superbo di me e de’ miei figli. Si compiaceva a farmi vestire sontuosamente, a condurmi seco in calesse scoperto, a sentir le lodi che i passanti mi prodigavano; e solea vantarmi sempre e me e i miei figliuoletti. Oh, furon pur quelli i bei giorni! Pensava che nessuno era più felice di me; ma sopravvennero anch’essi i giorni innesti! Aveva egli un cugino a Nuova-Orleans, suo amicissimo, cui professava immensa stima; ma appena lo vidi, presentii, non so come, che era un uomo formidabile, che ci avrebbe gittati tutti in un abisso di miserie. Conduceva spesso Enrico fuori di casa; e questi talvolta non solea rientrare che a due o tre ore dopo mezzanotte. Io non osava avventurare una parola, poichè l’agitazione dell’animo suo mi impauriva. Lo strascinava in case di giuoco; ed egli era tale che, gittatosi in un affare, non sapea più ritirarsene. Lo introdusse quindi in casa di un’altra signora, e mi accôrsi subito che il suo cuore non era più mio. Non mel disse mai, ma io ben lo compresi, viemmeglio di giorno in giorno. Sentìa spezzarmisi il cuore, ma non ardiva far parola. Alla fin fine, quel miserabile propose di comperar me e i miei figli, acciò Enrico potesse supplire alle spese che avea fatto per contrarre matrimonio, come egli desiderava, e fummo venduti. Un giorno mi disse che dovea assentarsi per alcuni affari, e che non sarebbe più ritornato per due o tre settimane. Mi parlò più affettuoso, promise che non si sarebbe fatto aspettare lungamente; ma non riuscì ad ingannarmi. Mi accôrsi che era giunta la trista stagione; rimasi come impietrata, senza parole, senza lagrime. Baciò me, baciò i fanciulli più volte, e andò via. Lo vidi montare in sella, l’accompagnai collo sguardo, finchè scomparve; allora stramazzai, e venni meno.
«Ginnse allora quel maledetto, quel miserabile! veniva per impadronirsi del fatto suo. Mi disse che avea comperato me, i miei figli; e trasse fuori la carta di contratto. Lo maledii dinanzi a Dio, gli ho giurato che sarei morta piuttosto che viver seco.
— «Come vi piace — disse egli; — ma debbo avvertirvi che se credete far la pazza, io venderò i vostri figli, e voi non potrete mai più vederli.» Soggiunse che, non sì tosto mi vide, sentì brama di possedermi; che conducea fuori Enrico, che lo facea indebitare, per costringerlo quindi a vendermi, che aveva favoreggiati i suoi nuovi amori con altra donna, e che, insomma, io dovea accorgermi come egli non fosse uomo, da cedere, per quante fossero le mie lacrime ed osservazioni d’ogni genere.
«Mi diedi vinta, perchè avea legate le mani. Avea in suo potere i miei figliuoli; e ogniqualvolta io tentava oppor resistenza, minacciava di venderli, talchè mi ebbe sua come egli desiderava. Oh, qual fu allora la mia