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la capanna dello zio tom


continuamente; che diritto ha egli sopra di me? sono un uomo al pari di lui; mi intendo d’affari meglio di lui; sono capace di governare una fattoria meglio di lui; so leggere, scrivere meglio di lui; imparai tutto da per me; non gli debbo grazie di nulla. Anzi ho imparato a suo dispetto; ed ora che diritto ha egli di farmi suo giumento; di strapparmi ad una occupazione che conosco ben addentro, per condannarmi a fatiche che un cavallo potrebbe fare egualmente? E pur lo pretende, e dice aperto, che, appunto a questo proposito, si compiace aggravarmi, umiliarmi coi lavori più aspri, più degradanti.»

— «Giorgio, Giorgio, tu mi spaventi; non ti intesi parlar mai a questo modo! Temo che ti lasci trascorrere a qualche funesto eccesso; comprendo i tuoi sentimenti.... tutto! ma, per pietà, sii prudente, per amore di me e del nostro Arrigotto!»

— «Fui prudente e paziente; ma il male si aggrava al punto che uomo non può più oltre sopportarlo. Coglie ogni occasione per insultarmi, per tormentarmi; sperava che, portato a buon termine il mio lavoro, mi sarebbe rimasto un po’ di tempo per riposarmi, per leggere ed imparare; ma egli più vide che posso fare, e più mi opprime di lavoro. Dice che, sebbene io mi taccia, si accorge che ho il diavolo in corpo, che vuol cacciarmelo ad ogni costo; ebbene, uno di questi giorni, il diavolo se ne andrà, ma, se non erro, in modo tale, che non sarà di suo piacimento.»

— «Oh caro! e che faremo noi?» esclamò Elisa dolorosamente.

— «Non più tardi di ieri, — ricominciò Giorgio, — mentre stava caricando di pietre un carretto, il padroncino Tom facea sibilar lo scudiscio così forte all’orecchio del mio cavallo, che questi cominciò ad impaurirsene. Col miglior garbo che mi fu possibile, lo pregai di cessare; ma egli proseguì, senza badarmi. Lo pregai nuovamente; ed allora, voltosi a me, prese a flagellarmi; io gli rattenni la mano; egli si mise a gridare, si svincolò dal mio braccio, corse da suo padre e gli disse che io lo avea battuto. Suo padre sopragiunse pieno di collera, e mi disse che mi avrebbe insegnato a conoscere chi era il mio padrone. Mi legò ad un albero, tagliò verghette che porse al figliuolo, consigliandolo a flagellarmi finchè la lena gli reggesse; ciò egli fece; ma verrà giorno in cui potrò ricordarglielo.»

La fronte del giovane si ottenebrò: i suoi sguardi lampeggiarono con tale un’espressione, che sua moglie ne tremò tutta.

— «Chi lo fece mio padrone, quest’uomo? — soggiunse egli, — ecco ciò che mi importa sapere.»

— «Credei sempre — riprese Elisa con voce accorata — che debbo ubbidire al mio padrone, alla mia padrona; altrimenti non sarei cristiana.»