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la capanna dello zio tom


    — «Vorrei che fossero mie — disse Eva — per disporne a mio piacimento.»

— «E che vorresti tu farne?»

— «Venderle, comperare un podere negli Stati liberi, trasportarvi tutti i nostri servi, assoldar maestri che insegnassero loro a leggere e scrivere.»

Eva fu interrotta da uno scoppio di risa di sua madre.

— «Fondare una scuola per essi! faresti anche insegnar loro a suonare il piano, a dipingere sul velluto!»

— «Insegnerei loro a leggere la propria Bibbia, a scrivere le loro lettere, e a saper leggere quelle che ricevono — disse prontamente Eva. — So che l’ignorar queste cose li affligge molto. Tom e Mammy ne sono dolentissimi; e credo ben a ragione.»

— «Oh taci, Eva, tu sei ancora bambina. Non ti intendi di queste cose — disse Maria. — D’altronde il tuo cicalare mi rompe il capo.»

Maria avea sempre in pronto un mal di capo per disimpegnarsi da quei discorsi che non le garbavano. Eva se ne andò via; ma da quel momento insegnava assiduamente a Mammy a leggere.


CAPO XXIII.


Enrico.


In quel torno di tempo, Alfredo Saint-Clare e il suo primogenito, fanciullo di dodici anni, si recarono a passare uno o due giorni in famiglia sulle sponde del lago.

Nulla di più caro, di più singolare che vedere insieme quei due gemelli. La natura, invece di stabilir fra essi analogie, si era compiaciuta in farli differenti affatto; parea ciò non ostante che un vincolo misterioso li stringesse in amicizia più intima che d’ordinario non suole.

Passeggiavan essi, dandosi il braccio su e giù, lunghesso i viali del giardino. — Agostino, dagli occhi azzurri, dai capelli dorati, dalle forme svelte, leggiadre, dalla fisonomia animata; Alfredo, dagli occhi neri, dal profilo romano, pieno di alterezza, dalle membra ben tarchiate, dal contegno risoluto. Solean darsi la baia a vicenda sul modo di sentire, di comportarsi in famiglia; ma in fatti, la discrepanza parea non servisse che a vie meglio unirli.