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la capanna dello zio tom


— «Sì, incontra talvolta, ma assai di rado, che ve ne sia alcuno a cui la natura concesse tanta semplicità, tanta schiettezza, tanta fedeltà da reggere incontro ad ogni tentazione e a’ più detestabili esempi. Ma ponete mente: il negro, fin dall’infanzia s’avvede che non può far nulla, fuorchè copertamente; gli è forza simulare e coi parenti e colla padrona, col padroncino e con la padroncina, che lo ammettono ai loro giuochi; laonde l’inganno e l’astuzia gli tornano necessariamente per lung’uso in natura. Vorreste punirlo per ciò? O potete forse aspettarvi qualche cosa di meglio da lui? Quanto s’appartiene alla probità, bisogna osservare ch’egli è tenuto in uno stato tale di dipendenza, e per così dire d’infanzia, che non v’è modo a fargli comprendere che cosa sia la proprietà, e che i beni del padrone non gli apparterrebbero, quando pure giungesse ad impadronirsene. Or io confesso il vero, ch’io non saprei comprendere in che modo i negri possano riuscir probi; e un domestico come Tom egli è... egli è un miracolo morale.»

— «E che avverrà dell’anima loro?» chiese miss Ofelia.

— «Di questo io non m’impaccio; non mi occupo che del presente. Quaggiù tutta la razza negra è destinata al diavolo per l’utile maggiore della bianca: ma avrà forse sorti migliori nell’altro mondo.»

— «È cosa veramente orribile! — disse miss Ofelia. — Dovreste arrossire di voi medesimi.»

— «Noi ci uniformiamo a principii tenuti dalla più parte degli uomini. Osservate ciò che accade sulla terra: dovunque le classi inferiori sono sacrificate in anima e in corpo al ben essere delle classi elevate. La va così in Inghilterra, la va così altrove; eppure i coloni dell’America del Sud eccitano soli il virtuoso sdegno di tutta la cristianità, per ciò che noi opprimiamo in modo alquanto diverso da quello che tengono gli altri.»

— «Ma nello Stato del Vermont non accade così.»

— «Lo concedo: nella Nuova Inghilterra e negli Stati liberi si sta meglio. — Ma la campana ci chiama; epperò, mia cugina, dimenticate per qualche istante le vostre preoccupazioni, e venitevene a pranzo.»

Sul far della sera miss Ofelia si trovava in cucina, quando uno de’ giovani negri gridò:

— «Oh! ecco la zia Prue; ella viene brontolando secondo il suo costume.»

Una donna mora, alta e di estrema magrezza entrò, recando sulla testa un paniere di biscotti e di piccoli pani tratti allora dal forno.

— «Benvenuta, Prue!» le disse Dina.

Prue avea cupa la voce, e in viso i segni d’una profonda tristezza. Depose la cesta, s’accosciò a terra, ed appunto i gomiti alle ginocchia, dicendo: