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la capanna dello zio tom
Il locandiere era uomo di modi rispettosi; e un distaccamento di sette negri all’incirca, vecchi e giovani, maschi e femmine, piccoli e grandi, furon subito in movimento, come uno sciame di pecchie, urtandosi, calpestandosi i piedi a vicenda, e rovesciandosi li uni addosso agli altri, nel loro zelo di acconciar presto una camera per il padrone; mentre questi, sedutosi con disinvoltura in mezzo alla camera, attaccava discorso col viaggiatore che gli era più vicino.
Il fabbricatore, il signor Wilson, appena vide entrar lo straniero, prese a considerarlo con aria di una curiosità inquieta e pungente. Gli pareva averlo incontrato e conosciuto altrove, ma non potea ricordarsene. Ogniqualvolta lo straniero parlava, si moveva, sorrideva, sentìa una scossa e fissava gli occhi sopra di lui; ma ben presto, incontrando uno sguardo affatto indifferente, ne li rimuoveva. Alla fin fine, parve che un subito lampo rischiarasse la sua mente, e lo guardò con tale un’aria di sospetto e di paurosa maraviglia, che quegli si avanzò verso lui.
— «Il signor Wilson, se non m’inganno — disse lo straniero come se lo avesse allora allora riconosciuto, e gli stese la mano. — Forse vi ricorderete di me: Butler di Oakland, nella contea di Shelby.»
— «Sì... sì... sì, signore» rispose Wilson, come uomo che parla sognando.
Comparve in quel punto un garzoncello negro, annunziando che la camera era pronta per il padrone.
— «Gim, tien d’occhio le valigie — disse il gentleman, con piglio d’indifferenza; voltosi quindi al signor Wilson, soggiunse: — Avrei a comunicarvi qualche cosa, nella mia camera, se mi permettete.»
Il signor Wilson gli tenne dietro, a guisa di sonnambulo; salirono in una camera al piano superiore, dove schioppettava un bel fuoco, acceso appunto allora, mentre alcuni servi davano l’ultima mano ad arredarla.
Assestata ogni cosa e partiti i camerieri, il giovane signore chiuse risolutamente la porta, se ne ripose la chiave in iscarsella, incrociò le braccia sul petto, e si piantò dinanzi a Wilson, fissandolo bene in faccia.
— «Giorgio!» disse il signor Wilson.
— «Giorgio per l’appunto!» disse il giovane.
— «Chi l’avrebbe indovínato!»
— «Mi sono travestito a dovere, credo io — disse il giovane sorridendo. — Un po’ di scorza di noce ha dato un bel bruno alla mia pelle giallognola, e tinsi i capelli in nero; così rispondo perfettamente ai connotati descritti in quell’avviso.»
— «O Giorgio, vi mettete a un giuoco pericoloso. Non ve lo avrei consigliato.»
— «Ne assumo io tutta la risponsabilità» disse Giorgio con disdegnoso sorriso.