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la capanna dello zio tom


ne trae guadagno, e segna quindi col ferro rovente la mano destra del suo inventore. Se l’occasione se ne presentasse, vorrei bollarlo lui, ve lo giuro, sicchè avesse a ricordarsene per molto tempo.»

— «Questi vostri saputelli sono sempre testerecci ed indocili — disse un uomo di sinistra fisonomia che stava seduto all’altro angolo della sala; — e perciò sono bollati e carichi di cicatrici. Se si comportassero come si deve, nol sarebbero.»

— «Ciò vuol dire che Dio li ha fatti uomini, e che noi ci sforziamo di ridurli a condizione di bruti» disse aspramente l’uomo dalle lunghe gambe.

— «I negri di prima qualità non fruttano guadagno alcuno al padrone — proseguì l’altro, trincerato abbastanza nella sua stupida ignoranza per non sentirsi ferito dal disprezzo del suo opponente. — A che valgono il loro ingegno e tante belle altre cose, se non potete servirvene? D’altronde essi non se ne giovano che per ingannarvi. Io ne aveva due di questi negri, e li ho venduti nel Sud, persuaso come era che un giorno o l’altro li avrei perduti.»

— «Dovreste pregar Dio che ve ne facesse un paio a bella posta per voi, senza anima» disse l’interlocutore.

Il discorso fu interrotto dal sopraggiungere di un elegante calessino a un sol cavallo, che si fermò alla porta dell’osteria. Vi stava dentro un uomo di aspetto signorile, ben in arnese, e un domestico di colore facea da cocchiere.

Tutta la compagnia si fece ad esaminare il nuovo venuto con quella curiosità che è propria di gente oziosa, raccolta insieme per effetto d’un giorno piovoso. Egli era di statura alta, di colore olivastro, di un carattere spagnuolo, con due belli occhi neri, espressivi, con capelli inanellati e rilucenti come ebano. Il suo naso aquilino ben conformato, le sue labbra ben tagliate, il contorno avvenente de’ suoi fianchi, lo fecero riguardar da tutti come persona non ordinaria. Si avanzò con disinvoltura nel mezzo della comitiva, accennò al domestico ove dovea collocar la sua roba, fece un inchino agli astanti e col cappello alla mano corso difilato al banco, e si dichiarò per Enrico Butler di Oaklands, nella contea di Shelby. Volgendosi quindi addietro con aria indifferente, si avvicinò al cartellone e lo percorse d’uno sguardo.

— «Gim — diss’egli al domestico — l’uomo che incontrammo a Bernan, non somiglia un tantino a costui?»

— «Sì, padrone — rispose l’altro; — ma non ne sono però certo quanto alla mano.»

— «Oh, non vi posi mente» proseguì il forestiero, con uno sbadiglio di noncuranza. Avanzandosi quindi verso l’oste, domandò una camera a parte, perchè aveva a scrivere subito qualche lettera.