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18 LA VITA

terra la grande ed eterna battaglia tra Ahura Mazda e Anra Mainyu, la lotta tra il bene e il male. S’intende di qui che gli uomini tutti e più ancora quelli che il cielo aveva dotati di forza e di valor militare, dovevano parteggiar per quello, e combattere contro questo fin che loro era dato. Adunavansi adunque in folla, alla porta del re, tutti gli eroi chiamati da lui, cinti delle loro armi rilucenti ereditate dai loro padri, e i più nobili e più famosi erano anche ammessi alla real presenza, nella sala del trono. Il re allora, dopo un'allocuzione appropriata alla solenne circostanza, facevasi recare innanzi diversi doni, ricchissimi e degni di lui, proponendo di darli in premio a quello de’ suoi prodi, che compisse la tale o tal altra impresa. Balzavano allora in piedi i generosi, e questi prometteva di recar dinanzi al trono reale la testa recisa del nemico, quello di prendere il tale castello, e quello di aprire un varco tra le montagne più scoscese, abitate da Dévi o da Maghi, finchè tutti i doni del re erano assegnati a questo e a quello. Allora, accompagnato dalla benedizione del re e dei sacerdoti, in un giorno propizio quale gli astrologi solevano determinare dietro i loro computi e le osservazioni del cielo, preceduto dal vessillo nazionale di Kaveh, tra lo strepito dei timballi e delle trombe, lo stuolo dei baldi e giovani guerrieri si avviava al campo.

Ma, come accade nei canti omerici, e in generale in tutti i racconti epici antichi, anche nelle descrizioni che leggiamo di battaglie nell'epopea persiana, il poeta, descritto per un poco il tumulto del primo incontrarsi delle schiere avverse, si riduce a descrivere con compiacenza maggiore i colpi tremendi e poderosi de’ suoi eroi, ch’egli sembra seguire passo passo nel più folto della mischia. Così, tra tutta la gente del basso esercito che disperatamente si accapiglia, mostrasi alto e cospicuo il giovane eroe a cui l’ingenito valore e l’alto nascimento danno animo e ardire. Egli invita ogni più forte e gagliardo della nemica schiera a singolar tenzone, e allorchè l’altro gli corrisponda, la tenzone è a morte. I primi colpi con dell’aste, infrante le quali senza che l’uno o l’altro sia sbalzato di sella, i cavalieri ricorrono alle spade, poi alle clave che lor pendono dall’arcione, e finalmente alla lotta a corpo a corpo discesi prima dai loro cavalli. Quegli che soggiaceva, nè sperava nè domandava pietà, poichè l’altro gli troncava la testa, e quella testa egli lanciava tra le schiere del vinto, in segno di ludibrio e di scherno. Talvolta invece egli la conficcava sulla punta di una lancia e qualche volta l’appendeva alla sella per inviarla poi al suo principe e signore, come segno e prova delle opere del valor suo.