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AI TEMPI EROICI DI PERSIA 17

fuoco, all’aria aperta, e la sua corazza militare è la spoglia irsuta di un leopardo che gli ricopre la schiena e la nuca e poi sale a ricoprirgli il capo, serbando ancora il muso e gli occhi spenti dell’uccisa belva, cagione di alto spavento a tutti i suoi nemici. In tal rozzezza di costumi, egli ama appassionatamente la caccia; e l’epopea ci descrive come egli bene spesso si parta dal castello paterno, al primo albore, per aggirarsi fino a sera e talvolta anche fino al termine di parecchi giorni per lontane e inospitali foreste, onde avveniva che talvolta se giungeva a richiamarlo in corte qualche messaggero del re, egli dovesse aspettarlo finché l’eroe ritornasse dalla sua prediletta caccia. Rustem, adunque, usciva al mattino, al primo apparir dell’alba in oriente, montato sul suo fedel destriero, e s’internava per boschi e per deserti. Quivi ei s’incontrava facilmente in una torma di onagri; allora egli avventava il laccio suo che giungeva a sessanta cubiti, e qualcuno dei selvaggi animal cadeva a’ suoi piedi impigliato in que’ nodi. L’eroe discendeva di sella, scioglieva al pascolo pel prato il suo Rakhsh, indi scuoiava l’atterrata belva. Destata poi con la spada da una selce una scintilla, egli raccoglieva quella scintilla in aride foglie e vilucchi, indi con secchi rami suscitava un gran fuoco. Su quel fuoco egli faceva arrostire, infissa in uno spiedo di legno, la sua preda ancor palpitante, indi, levatala di sopra ai carboni ardenti, acconciamente la spartiva e a poco a poco piacevolmente se la mangiava. A lui, formidabile divoratore, non restavano che le ossa, che egli però rompeva per estrarne il midollo di cui era ghiottissimo, mentre una vicina fontana spegnevagli la sete e gl’innaffiava l’abbondante cibo. Saziata la fame, egli s’addormentava sul prato per ritornarsi poi, al cessar del profondo sonno, tranquillamente al suo castello.

Ma laddove un eroe mostravasi veramente tale, dispiegando tutto il valor del suo braccio e la generosità del suo cuore, si era la guerra. Essendo cresciuto fra gli esercizi cavallereschi, fatto adulto, egli poteva ormai offrir l’aiuto possente del suo braccio alla patria terra e difenderla dagli assalti nemici. Perciò, quando si annunziava dalle frontiere che il re dei Turani, il feroce e ambizioso Afràsyàb, aveva violato improvvisamente i confini, il re degli Irani, mandava attorno suoi messaggeri ad invitare alla corte tutti i prodi che accorrevano volenterosi. Non obbedire all’autorevole richiamo del principe e l’indugiarsi prima di obbedire, era colpa gravissima che quegli soleva punire severamente. Ma i nobili figli di Irania, accorrevano volenterosi e pronti, poiché la guerra coi nemici aveva per loro un alto significato religioso, simboleggiando in