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8 LA VITA

benignamente se lo faceva venir dinanzi al trono, lo colmava di lodi e di benedizioni e chiamavane fortunato il padre. Ma perchè, anche nella presenza reale, doveva quegli dar chiara prova del valor suo, così discendeva il re, seguito da tutti i suoi principi, nella palestra, e là il giovinetto lanciava globi con la mazza, scagliava dardi al bersaglio, mentre cavalcava un focoso destriero. Finite le prove, il re imbandiva solenne convito e licenziava poi il nobile garzone e il padre suo, ambedue colmi di ricchissimi doni. Che se invece era un figlio di re che ritornava dal castello di qualche eroe, terminata la sua educazione, il suo ritorno alla paterna reggia si faceva con tutta pompa e solennità. Lo stesso eroe che l’aveva educato, ora lo ritornava alla sua casa, ma prima di accomiatarlo soleva dargli ogni cosa più preziosa che trovavasi nella sua casa, e per compiere e far più grande quel dono, soleva bene spesso far una scorreria nei paesi vicini e procurar con la rapina ciò ch’egli non poteva dare del suo. Così almeno fece Rustem allorquando restituì a re Kàvus il giovane Siyàvish che egli aveva educato con lungo studio e cura. Radunavasi intanto un’ampia comitiva di principi e di guerrieri con palafreni, con cammelli ed elefanti, con tutta la sequenza dei ricchissimi doni, indi, al suono di trombe e di timballi, di crotali d’india e di sonagli, si lasciava il castello. Tutta la via era ingombra di fiori e di fragranze, secondo l’espressione del poeta, e tappeti erano appesi dovunque, mentre la gente si accalcava acclamando sul passaggio. Venutone l’annunzio alla reggia, si spedivano in tutta fretta principi e guerrieri, sacerdoti e savi, incontro alla nobile comitiva, la quale, appena giunta al luogo, veniva ricevuta da strepiti di fanfare, da fragor di timballi, da liete voci, in mezzo ad un agitar di turiboli, ad uno spargere di monete e di gemme dall’alto dei terrazzi e tra la folla, sotto a una strana pioggia di muschio e di zafferano, e talvolta anche di vino e di zucchero. Il nobile giovinetto accompagnato dal suo educatore si avanzava direttamente fino al trono del padre che l’attendeva con la corona in capo, circondato da’suoi grandi e in tutta la pompa e maestà di re dei re, e là egli si prostrava riverente fino al suolo. Ma il padre si levava dal trono ed era sollecito a sollevare quel figlio suo, baciavalo negli occhi e nella fronte, e piangendo commosso nella piena dell’affetto suo, vedendolo bello e aitante della persona e gentile nei modi, se lo faceva seder d’accanto sul trono e poi, levando gli occhi e le palme al cielo, ringraziava Iddio benefattore per tanta grazia. I principi e i sacerdoti e tutta la corte assistevano commossi e plaudenti. Allora, a un cenno del re, s’imbandivano le men-