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penso che il nome di Orta le sia venuto dai popoli etruschi trasmigrati in queste parti in cerca di più tranquille sedi, attribuendo a questo luogo da loro abitato il nome di una delle dodici città dell’antica Etruria, che furono capi delle origine italiche, e che il Cluverio, l’Olstenio e il Cellario raccolsero alla spezzata da varii passi di T. Livio, fra le quali il Fontanini pose la città di Orta1, eroica città, che diede, secondochè scrisse Virgilio, forti combattenti contro Enea. È una necessità per gli esuli di ricordarsi della terra natale, e di scemare il dolore della perdita col fare rivivere le memorie ed i nomi delle antiche sedi derelitte, imponendoli alle acquistate di fresco. Nè mancano altri esempi fra noi: Arona porta la denominazione di un fiume che scorre tra Roma e Bracciano; nelle sue dipendenze trovasi Collazza così chiamata dall’altra città dei Sabini della quale narra T. Livio lib. 1, cap. 38 e 58, essere stato governatore Egerio nipote del
- ↑ V. Guarnacci, Origini italiche, lib. 1, cap. 2.
se per tratto di una bizzarra fantasia, o per disperazione di miglior cosa) dai ceci legumi: nè meno stranamente fu detto, che Arola dovesse corrispondere o al fiume Arola degli Ambroni, o alla città così nominata nei Bisalti, oppure a quella corte, o castello di Arola od Oriola presso Galliano sul Po a levante di Moncastino, di cui parla il diploma dell’imperatore Corrado I del 1026, dato a favore del Monastero di Breme, dove si trapiantò quello di Novalesa dopo la invasione de’ Saraceni, e nel quale è scritto: Gabiantum et aliud Castrum infra eamdem Curtem nomine Arola: che Pettenasco dovesse con venire col Peteniseo degli Urbigeni registrato nella tavola Teodosiana: IVI: Pella colla patria di Alessandro il grande secondo la storia, e secondo la mitologia colla patria di Piero marito di Evippe, di cui Ovidio nello Metam. lib. V: Centonara colle cento are, ossiano tumuli eretti a non so quali eroi, presso i quali amaranti educavansi e viole: Pisogno con Pisone ricco romano, o coi piselli: Opaglio colla dea Opi, lo cui feste chiamavansi appunto Opalia: Crabbia con Crabro, vespaio, o nido di vespe, contraffacendo così l’indole vivace e risentita di quella popolazione. Le quali cose quando ci venne fatto di udire, ci parve di essere presenti a quella giocondissima scena di Bacco descrittaci da Orazio, nella quale il dio avvinazzato imprendeva ad insegnare poesia alle rupi, Credite posteri!