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libro sesto 357

Come vittorïoso indi se n’esca,
E piombando dal ciel, che danno apporti.
522Poichè, se Giove e gli altri Dei sconquassano
Con tremendo fragor del cielo i fulgidi
Templi, e scagliano il foco ove a lor piaccia,
525Perchè mai non colpiscono chïunque
D’abbominosa scelleranza alcuna
Non abborrì, sicchè dal sen trafitto
528Egli esali del fulmine le vampe,
Aspro esempio a’ mortali; e l’innocente,
Che d’opre turpi la coscienza ha pura,
531Da fiamme invece è avviluppato e vinto,
E dal foco e dal turbine celeste
D’un subito rapito? E perchè mai
534Miran sovente in solitarj lochi
E affaticansi invan? Forse i lacerti
Rafforzar vonno ed addestrar le braccia?
537E perchè soffron, che del padre il dardo
Si ottunda in terra, e lo permette e’ stesso,
E no ’l serba a’ nemici? E perchè Giove
540Mai qua giù non saetta e sparge il tuono,
Quando sereno in ogni parte è il cielo?
Forse, a pena s’ammucchiano le nubi,
543Egli in esse discende, a ciò che quinci
Più da vicin drizzi il suo dardo al segno?
E poi per qual ragione in mar l’avventa?
546Che rimprovera a l’onde ed a l’immensa