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346 la natura

Perchè quanto a l’orecchie il corpo volge
Più tardo è ognor di ciò che muove il viso;
225E ciò, fra l’altre, intender puoi da questo:
Che dove da lontano altri tu miri,
Che un’altera ramosa arbore incide
228Con ancipite ferro, il colpo osservi
Pria che de la percossa oda il rimbombo.
Così pure vediam prima il baleno,
231Poscia il tuono sentiam, che pur si parte
Da simile cagione, a un tempo eguale,
E da foco e da scontro unico è nato.
     234Anche talor d’un balenío fugace
Tingon le nubi i lochi, e la procella
Con tremulo, interrotto impeto splende.
237Allor che il vento irrompe entro una nube,
E turbinando, come innanzi ho detto,
La incava al mezzo e la condensa in giro,
240Per la rapina sua fervido viene:
Tal per moto ogni corpo arder tu vedi
E infiammarsi del tutto, e in lungo corso
243[M.]Plumbea volubil ghianda anche si fonde.
Quando fervido dunque il vento squarcia
L’atra nube, qua e là semina il foco,
246Che quasi per repente urto sfavilla,
E l’abbagliante lampeggiar produce;
Indi segue lo schianto, il qual più tardo
249Scote l’aure, di ciò che agli occhi arriva.