1614Quanti gemiti allora egli a sè stesso,
Quante ferite a noi, quali produsse
Lacrime a’ figli ed a’ nipoti nostri! 1617No, pietade non è mostrarsi ognora
Velati il capo e volteggiare a un sasso
Ed accostarsi a quanti son gli altari, 1620Nè al suol gittarsi inginocchiati e tendere
Anzi a’ delubri degli Dei le palme,
Nè d’ecatombi insanguinar gli altari, 1623Nè attaccare ad ognor voti su voti,
Ma poter con pacato animo tutte
Le cose contemplar. Però che quando 1626Alziam lo sguardo a le celesti volte
De l’ampio mondo e al vasto etera immoto
Sopra gli scintillanti astri, e le vie 1629De la luna e del Sol corre il pensiero,
Allor ne’ petti d’altri mali oppressi
Il ridestato capo anche solleva 1632Quell’ansia cura, se per noi da vero
Ci sia di Numi alcuna possa immensa,
Che in vario moto i candid’astri aggiri: 1635Poi che il difetto di saper tormenta
La dubbia mente, se principio alcuno
Ebbe del pari ed avrà fine il mondo, 1638Quanto le mura sue regger potranno
Tal di celeri moti ardua fatica,
Se, avuta dagli Dei vita immortale,