Perocchè, s’egli è un mal, dopo la morte
Da le zanne e da’ rostri esser sbranato, 1140Non trovo, come mai non sia crudele
L’esser posto su ’l rogo e torrefatto,
O sommerso nel miele, o sovra un liscio 1143Gelido marmo irrigidir disteso,
O da la grave terra essere oppresso.
«Omai non più la tua casetta allegra 1146T’accoglierà, non più l’ottima sposa,
Non i tuoi dolci figlioletti a gara
Verranti incontro a rapire i tuoi baci 1149E di muta dolcezza empierti il petto,
Non più con le fiorenti opre a’ tuoi cari
D’onorato presidio esser potrai; 1152Misero che tu sei, dicendo vanno,
Tutti ti tolse in miseranda guisa
I premj de la vita un giorno avverso!» 1155Non aggiungono a ciò: «Di queste cose
Più nessun desiderio omai ti avanza.»
Chè, se intendesser ben l’animo a questo 1158Seguitando a parlar, d’angoscia tanta
E da tanta paura andrían disciolti.
«Tu qual sopito da la morte or sei, 1161Tal d’ogni morbo scevro e d’ogni affanno
Tu per sempre starai; ma noi da canto
Al tremato sepolcro ove tu giaci, 1164Fatto cenere omai, te piangeremo