Ma quella strega ipocrita e maligna,
Che di Plato e Gesù fatto cibrèo,
Le barbogie de’ vili anime ingrassa.
Di belletto e di minio impiastricciata
Fra un nugolo di fronzoli e di veli
Move ella in giro, e con aerei sguardi
Con melliflue lusinghe i gonzi illude;
Ma se tu le ti appressi, e tra ’l fallace
Intonaco del ceffo e l’ampio mucchio
De le gale t’insinui, una vedrai
Rancida zitellona, anzi carcassa,
Che con l’eterna squacquera e co ’l fiato
Putido ed acre ammazza il tordo a volo.
Radi per l’antro de la bocca orrenda
Le ballano crocchiando i lerci denti;
Pendonle, qual da vòlta umida e nera
Ragnateli cadenti, ambo le mamme;
E quindi su le due coscette gialle
Le s’intumida e sguazza il buzzo osceno,
Quinci, a par di stillanti éscare aperte,
Sfatte le cascan le marciose lacche.
Bando, oh bando a tal peste! Ecco fra l’ombre
De’ pollini cenobj e le smarrite
Sognatrici del ciel mistiche larve
Tuona il verbo novello, ecco fiammeggia
Entro la luce del titanio globo
Del divo Galilei tremendo il nome.