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parve inevitabile. L’avvocato G. Battista Billiani riescì colle energiche sue parole a tranquillare per poco gli spiriti; le truppe italiane vennero poste sotto gli ordini immediati del municipio e capitanate dagli antichi militi Alfonso Conti e Tommaso Ottelio; il generale Auer custodito co’suoi ufficiali; le guardie di polizia consegnate nella loro caserma. Componevasi un nuovo governo, di cui Antonio Caimo Dragoni era presidente; e membri il negoziante Lupati; gli avvocati della Torre e Antonini; i possidenti Corvetta, Gancianini, Plateo e de Nardo, lo stagnaio Fabris; e l’ostiere Domenico Fletti. Furono incontanente spediti commessali a Palma e ad Osoppo, i quali tornarono a dì venticinque del mese colla convenzione per la resa di quelle fortezze. Il Cavedalis — di cui poc’anzi tenni proposito — venne assunto a comandante del Genio nella provincia; le guardie civiche di Buia, di Gemono, di Osoppo inalberarono sul forte scoglio la bandiera italiana; il generale Zucchi, già prigioniero in Palma-Nova, partitine gli austriaci, ne toglieva il comando e la difesa.

Le cose nuove piacciono ai nuovi. E più e più a noi le piacevano, perchè con esse ci strappavamo di dosso il vecchio abito della schiavitù forestiera che sì ignominiosamente gravavaci. Modena, come ogni altra città oppressa da giogo servile, era tutta in fermento. Il popolo di ogni classe correva le vie colle solite grida sfioranti da labbra italiane; gli ungheresi quivi stanziati, passeggiando amichevolmente co’ cadetti del corpo dei zappatori, facevan plauso allo entusiasmo della moltitudine; e i dragoni ducali che vollero opporvisi, furono respinti e ricacciati nel loro quartiere a furia di bastonate e di fischi. Il principe — dimentico. delle spavalderie proclamate ne’ mesi decorsi — impaurito, mutò sentenza e promise occuparsi di ciò che poteva essere confacente al ben essere dei suoi sudditi, avvertendo «gli amici dell’ordine, a qualunque opinione si appartenessero, di tenersi tranquilli pel breve spazio di tempo indispensabile a disporre ciò che le circostanze esigevano». Alcuni cittadini, fra cui il Malora, il Fontanelli, il Ruffini, andarono al duca per dirgli che le sue larghezze, venute tardi e da lui austriaco, non erano punto accettate, il popolo chiedere a lui una cosa sola, lo andarsene e al più presto. Raumiliato e tremante, domandò tempo a riflettere; e chiamato a sè il colonnello Brocchi, lo interrogò se poteva fidar sulle truppe. Quel vecchio ed onorato soldato rispose che tutti erano pronti a difendere la sua persona da violenze e da oltraggi; ma, per combattere il popolo, nessuno. Pianse a que’ detti il principe per fanciullesca rabbia e dispetto e, «Tutti traditori!» esclamò, cacciandosi con impeto nelle più recondite stanze. Indi a poco tornava la deputazione per sapere qual fosse il preso divisamente; e l’arciduca Massimiliano — che da qualche mese era venuto di Vienna, a sorreggere co’ propri consigli il nepote — la ricevette con alterigia e con disprezzo e con tuono di minaccia. L’indomani però la famiglia ducale partiva alla volta di Mantova co’ suoi tedeschi, che sino a quel punto lo avevan coperto colla loro ombra. Prima di muovere, rassegnato alle necessità de’ tempi, emanava lo editto seguente:

«Nel solenne momento nel quale tutta l’Europa e persino i più solidi Stati