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«II. Le truppe del reggimento Kinsky e quelle dei Croati, l’artiglieria di terra e il corpo del Genio abbandoneranno la città e tutti i forti; e resteranno a Venezia le truppe italiane tutte e gli ufficiali italiani.

«III. Il materiale di guerra di ogni sorta resterà in Venezia.

«IV. Il trasporto delle truppe seguirà immediatamente con tutti i meni possibili per la via di Trieste per mare.

«V. Le famiglie degli ufficiali e soldati che dovranno partire saranno guarentite; e saranno loro procurati i mezzi di trasporto dal governo che va ad istituirsi.

«VI. Tutti gl’impiegati civili italiani e non italiani saranno garantiti nelle loro persone, famiglie ed averi.

«VII. S. E. il signor conte Zichy dà la sua parola d’onore di restare l’ultimo in Venezia, a guarentigia dell’esecuzione di quanto sopra. Un vapore sarà posto a disposizione dell’E. S. pel trasporto della sua persona, del suo seguito e degli ultimi soldati che rimanessero.

«VIII. Tutte le casse dovendo restar qui, saranno rilasciati soltanto i danari occorrenti per la paga e pel trasporto della truppa suddetta. La paga data per tre mesi.»

Gli stranieri partirono.

Il governo provvisorio della Repubblica distribuiva in tal modo le funzioni del nuovo reggimento. Daniele Manin fu presidente del consiglio e ministro delle relazioni estere. Niccolò Tommaseo, ministro del culto e della istruzione. Iacopo Castelli, di grazia e giustizia. Francesco Camerata, delle finanze. Francesco Solera, di guerra. Antonio Paolucci, di marina. Pietro Paleocapa, dell’interno e delle costruzioni pubbliche. Leone Pincherle del commercio. Angiolo Toffoli — artigiano — senza portafoglio.

Ciò, a’, di ventitré di quel mese. Ne’ susseguenti, decretavasi lo abolimento della tassa personale nelle province della Venezia; la forma della bandiera co’ colori nazionali, avente in alto—su campo bianco fasciato di verde, di bianco e di rosso—il leone di S. Marco, dorato, qual simbolo autonomico della Venezia; la istituzione di dieci battaglioni di guardia nazionale mobile affidata alle cure del generale Giorgio Bua; lo adottamento dei fratelli di Domenico Moro—alfiere di fregata, martire della causa italiana in Cosenza—a figliuoli della Repubblica e una conveniente pensione alla loro madre; un monumento espiatorio alla memoria di Attilio e di Emilio Bandiera, martiri della medesima causa.

I saliti allo eminente ufficio di reggere la pubblica cosa in tempi sì solenni e difficili erano onesti cittadini, fatti chiari al popolo dalle civili sollecitudini, dalla loro intelligenza, dalle persecuzioni patite per amore di libertà. Due però i meglio accetti dall’universale entusiasmo. E questi piacerà a’ lettori conoscere intimamente prima de’ loro atti, siccome a me piace il farlo per non essere in questa storia semplice narratore di casi, sibbene coscienzioso espositore delle cause e giudice degli uomini che quelle incarnarono.

Daniele Manin ha sortito di natura un ingegno pronto ed esteso. Dotto ed