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impediva i più onesti ed equi rapporti tra i governati e i governanti. Nel finire, egli aveva in una mano la legge imperiale che aveva chiosato; nell’altra la istanza già pronta per rimettersi al governo. Tutti pendevano dalla sua bocca; e quando disse la suprema parola:
«Firmate!»
ognuno slanciossi dalla scranna per apporre il proprio nome sotto quella scrittura. La quale fu dall’autore spedita al barone di Kubeck, ministro dell’imperatore in Vienna, accompagnata da un foglio assai dignitoso.
La risposta dell’aula fu quale potevasi attendere. Il consiglio presieduto dal principe di Metternich, facea dire all’automa Ferdinando I esser sua mente nel regno Lombardo-Veneto esistere una turbulenta fazione, il cui intendimento era lo sconvolgere l’ordine e la pubblica tranquillità. «Ho già fatto tutto ciò che credetti necessario per corrispondere ai bisogni ed ai desiderii delle rispettive Provincie, nè sono inclinato a fare ulteriori concessioni.... Confido nella maggioranza del Regno Lombardo-Veneto, che non saranno per avvenire altre disgustose scene. Ad ogni modo mi affido alla fedeltà e valore delle mie truppe.»
Cominciarono le angherie, i rigori, le persecuzioni d’ogni genere. Fra i notevoli imprigionati furono Tommaseo e Manin; e com’essi villanamente fossero tenuti dal direttor generale della polizia austriaca in Venezia, il lascia supporre una lettera di Teresa Manin, da cui tolgo il brano che segue:
«Dopo due lunghissimi giorni mi fu concesso di veder (ilio marito che trovai abbattuto di corpo, non già d’animo. Si commosse quando mi vide, e mi disse del gran freddo sofferto. E ne soffrirà ancora, perchè è senza stufa e mezzo ammalato. Ieri ebbe gran male di capo e vomito. Immaginatevi quant’io debba soffrire all’idea del suo male e come mi vada figurando il peggio. Di Tommaseo poco so, perchè non mi fu permesso vederlo: sarà alla stessa condizione di Manin.... Tutto è mistero e tenebre. Presentai un’istanza accompagnata dalla firma delle più distinte persone della città e da un certificato medico, domandando per Manin il piede libero: sono tre giorni, e ancora non ricevetti risposta. Ho voluto fare lo stesso per Tommaseo. Un amico di mio marito andò a Padova e si presentò al conte Andrea Cittadella Vigodarzere con una mia lettera che domandava la firma di lui alle due istanze.... Il Conte non solo rifiutò la sua firma: ma nè anche fece risposta alla mia lettera. Così ha trattato con una donna, con una moglie, colla moglie dell’avvocato Manin, in questi momenti. Veggo ora mio marito tutti i giorni e Io trovo più sempre indebolito di corpo; ieri poi!.... povera vittima! quando lo guardo mi si lacera il cuore! Che sarà di lui, che de’ miei poveri figliuoli, che di me stessa? Ho molti amici che cercano alleviare il mio dolore, ma poco vi riescono. Non crediate per altro che io sia avvilita. No; sono oppressa; ma, vado superba d’essere l’amica, la compagna di quell’uomo veramente antico. Tutta la città ha l’animo disposto per lui; chi lo benedice; chi lo chiama padre della patria; la mia casa da mane a sera è piena di gente: molte signore vennero al teatro