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che alla consulta di Stato si aggiungerebbero i consultori straordinari e i deputati delle provincie. Nominava il conte dell’Aquila luogotenente generale in Sicilia e il personale del suo ministero. Riformava le leggi sulla stampa e dava norme alla nuova censura. Lo stesso di erano posti in libertà Carlo Poerio, Mauro, Trincherà e varii altri sollecitatori di pubbliche franchigie. Il decreto sulla stampa irritò tutti; l’amnistia accordata il ventiquattro, parve non un bene, ma uno scherno, un insulto; imperciocchè, la maggior parte de’ graziati, «secondando i moti del reale animo «venivano» rilegati per ragione di pubblica tranquillità sopra un’isola sino a nuova risoluzione».

Infrattanto, in Sicilia il combattimento non si era mai rallentato tra il popolo e le truppe. I Messinesi eransi impadroniti di un piccolo vapore e di meriti pezzi di artiglieria. Il generale Filangieri aveva sbarcate novelle schiere per rinforzare il presidio della cittadella. Il maresciallo Desauget con ottomila uomini scendeva a terra presso Palermo, e avanza vasi verso la città per la porta Macqueda. Quelli che credono doversi conseguire il bene senza sacrifizi, migrarono nelle campagne vicine. Le bombe, i razzi briccolavano già nel paese. ’Notevole eia lo sconforto degli animi. Allora, Giuseppe La Masa, afferrata in senato la bandiera italiana, cominciò a percorrere le vie, gridando si asserragliassero; il nemico venire dai quattro venti; si apparecchiassero armi e munizioni; formarsi già nella piazza della Fieravecchia il nucleo dell’armata cittadina. E col grido di «Viva la Costituzione» Pasquale Bruno attaccava la porta Macqueda, e colla sua squadra se ne impossessava. E Giuseppe Scordato — bandito dei monti e capo di una banda armata, cui le onorate battaglie della libertà lavarono le antiche colpe, cui più tardi la politica apostasia diede il grado di Colonnello nell’esercito del Borbone e Io spregio di tutti gli onesti — dopo aver fatto prigioniero il presidio di Bagheria, sbaragliava le truppe regie che difendevano il palazzo reale. Altri comitati s’instituivano, composti da quaranta dei più distinti cittadini della capitale; uno riguardante la sicurezza pubblica, l’altro la guerra, l’altro le finanze. I prigionieri fatti sulle regie schiere — ed erano molti — venivano trattati colla massima umanità; e i feriti— quantunque di avversa parte e spesso adoperanti illeciti stratagemmi per carpir la vittoria, pur sempre fratelli — sontuosamente curati dalle nobili donne palermitane ne’ loro palagi. I loro compagni, abbattuti dalle fatiche, costretti a serenar sulla spiaggia, mancanti di viveri e sopratutto scoraggiati dalla eroica resistenza degl’insorti, disertavano nella città, cedevano le armi, o ne usavano insieme col popolo all’attacco dei forti.

Le vittorie siciliane correvano in Napoli per le bocche di tutti; e il popolo romoreggiava; e le autorità, avvezze a comandare una gente umile e serva, perdevano coll’arroganza quel po’ di senno che Dio avea loro fornito. Il re, costernato dalla mala coscienza, ondeggiava, senza sapere a qual disperato partito appigliarsi; i suoi consiglieri, timidi ed avviliti; i suoi generali oppressi dalla opinione pubblica che od ogni ora si facea più gigante. A’ dì ventisette il tempo era piovigginoso e fosco: la speranza però irradiava gli animi tutti; e molte migliaia di persone adunavansi lungo la via di Toledo e sostavano sulla piazza dinanzi la