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non rassegnati mai, per dargli corona. Nel continente e nell’isola gli abitanti, o troppo o poco civili, amanti di novità per tentazione di sorti migliori, prontissimi ad intenderle e a farle proprie, pervicaci ne’ riflettuti disegni, palesavansi disadatti alla schiavitù e riluttanti colle leggi dell’illimitato dispotismo. 11 quale, rintanatosi in Palermo neH806, sporco del più nobile e generoso sangue napoletano, e costretto sei anni appresso dalla Inghilterra ad infrenarsi con una costituzione che ritoglieva al popolo allorquando stimò cessati i pericoli che gliel’avevan fetta dettare, tornò inquisitorio, villano, peggiore. Onde, i ribollimenti popolareschi continui, e continue le corti marziali; e per cause di maestà piene le carceri, spessi gli appiccamene, le fucilazioni e gli esigli di gente, talvolta non sentita e spesso dannata senza difesa. Chi scriverà il martirologio politico di quel regno avrà per fermo ad empire gli scaffali di una gran biblioteca!

Quivi le industrie poche, in mano di forestieri e non sostenute che apparentemente dal governo, il quale riguarda come sentenze tutti gli errori di pubblica economia. In tanta ricchezza di naturali prodotti, ruvide le manufatture, perchè poveri i capitali, perigliose le società, male intese le provvide leggi; e perciò impossibile il miglioramento delle arti. Presso che nullo il commercio. I dazi, diretti o indiretti, venduti e per conseguenza volti a privato guadagno. La prediale ripartita dissennatamente sui possidenti, e in alcuni luoghi a seconda delle loro rivelazioni, o del grido delle loro ricchezze, e non ritolta sulle terre della Chiesa e de’ monasteri ricchissimi ed immorali. Imposizioni di tasse ai comuni per aprir nuove strade distrettuali, raramente imprese, o non attuate, e quel danaro tolto dai ministri, o dal re per altri usi, noti ad alcuno. Il feudalismo, cessato ne’ diritti, quasi intatto ne’ possessi e negli usi. Pianure immense boscagliose, od a prato, od innondate dalle acque, lasciate inculte dai padroni per esimersi dalle soverchie gravezze; monti sboscati per leggi non provvidenti, o non osservate. La fallacia, la malafede, la venalità, le fraudi, il vecchio genio della sovrana prepotenza sparso su tutti, su tutto.

Alle discorse cose gli onesti intendevano porre un termine. E i giovani, mettendosi su pacifica via, si sbracciarono a calmare i generali risentimenti, a dimenticare le passate e le recenti ingiurie e ad iniziare quelle dimostrazioni — sì prospere altrove — mercè le quali credevano concordare il principato col popolo, e — unite le due potenze — spingerle al conquisto della italica nazionalità. I molteplici arresti, le persecuzioni d’ogni maniera non isfiduciarono punto i Napoletani.

Qua di Palermo, che si energicamente avevano agito per l’addietro inverso la borbonica caparbietà, fissavano il dodicesimo di del gennaio come termine perentorio alle loro preghiere. Il fortunoso giorno spuntava e passò, senza che le desiderate concessioni avvenissero. Onde, le masse levaronsi a rumore, stimandosi tratte in inganno, o dai pomettitori di lieto evento, o dal principe. I gendarmi vollero opporsi a quei moti e vennero a furia disarmati e respinti. In poco d’ora trentamila cittadini, divisi in drappelli, si mostrarono sulle pubbliche vie.

La truppa di linea che intendeva disperderli, fu costretta a ritirarsi ne’ forti; e la cavalleria sconfitta per opera specialmente delle donne, che dalle finestre e