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armati il ducato di Parma e Piacenza, ed accoglieva nel proprio palazto le principesse che vi aveva detronizzato. — Propugnatore della legittimità e del diritto divino nelle famiglie di Borbone e di Braganza, favoreggiava i diritti del popolo in Italia. — Affidando alle sue schiere l’onore del tricolore vessillo, arricchiva il blasone della sua stirpe di nuova impresa e divisa. — In un solo atto volle palesarsi fermo, siccome quello che riassumeva i pensieri e le speranze di tutti i principi della gagliarda razza Sabauda, e ch’egli medesimo avea vagheggiato fin dalla prima sua gioventù; lo emancipare, cioè la Italia dal giogo dello straniero, ed — ove possibil fosse — costituirla in una grande nazione monarchico-costituzionale a lui devota e alla sua dinastia. Ed egli ruppe per ben due volte la guerra contro lo Austriaco invasore, malgrado il contrario avviso de’suoi cortigiani e della straniera diplomazia.

Ora dirò lo stato delle provincie che a re Carlo-Alberto ubbidivano. Le eran queste formate di elementi eterogenei che le Alpi, gli Appennini, il mare e — più che tutt’altro — una fredda e compassata politica dividevano e particolarizzavano. Quindi svariate le fisonomie dei quattro popoli, i quali retti isolatamente da un solo, a vicenda si disprezzavano tra loro.

Il Savoiardo, abitando le regioni montane, non obbliava la origine dei suoi re e gli sforzi per lui fatti onde ampliar loro il dominio sull’adiacente pianura. Superbo della propria storia di otto secoli, i favori che a lui s’impartivano teneva a pegno di debita conoscenza pe’prestati servigi. Vicino ai confini di due libere nazioni, parlandone la lingua e praticandone gli usi, nella comune servitù preoccupa vasi delle novità forestiere, il che non gli veniva imputato a delitto. Intrepido soldato, sentiva talvolta vergogna dello stato suo; pure sapea consolarsene brandendo la sua vecchia spada, monda di colpe, di gloria ricchissima.

D’indole soprammodo tranquilla e disciplinata, il Piemontese palesavasi come colui che teme e spera. La immortale scintilla dell’amor patrio che Dio pose in ogni uomo, ei non la spegneva nel fango, sibben la circonscriveva in una siepe di erroneo municipalismo. E quando in tutta la Penisola, per un empito di febbre convulsa s’italianò il principio santo della nostra nazionalità, a lui parve di trasognare, si poco gli era stato educato a cotanto sublime idea.

Il Ligure si aveva un tutt’altro carattere. Da una sola generazione e per forza di straniero trattato unito al Piemonte, fiero per non lontane memorie d’inorpellata popolar libertà, operosissimo ne’ commerci, oculato guardiano de’ proprii possedimenti, non provava omogeneità per gli abitatori delle altre province e per quegli che tutti reggeva; e se la severità quasi ostile del suo contegno facealo temuto, il molto oro versato nelle casse del pubblico erario procacciavagli dal governo prove distinte di una certa tal qual deferenza.

Lo insulare della Sardegna, guidato per secoli da una legislazione, di cui i feudali diritti e le chiesastiche immunità eran la base, per rispetto ad antiche consuetudini lasciato quasi in balia di sè stesso, insanguinavasi in parziali, atroci vendette contro l’avara ingordigia e gli arditi soprusi de’ tiramielli dell’isola, e languiva neghittoso e selvaggio in mezzo alla pingue ubertosità de’suoi campi, a lato dei cresciuti bisogni pubblici per l’avanzata civiltà. II prete, il frate, tutto