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abitanti in Torino, in Genova, in Ciamberì più nol vedevano che assistente alle militari manovre, e i privilegiati, nelle rare feste di corte, ove campeggiava tutto il lusso e l’altera ritenutezza del ceremoniale spagnuolo. Vivuto in due epoche diametralmente opposte fra loro, due persone erano in lui, il patriota ed il principe. Di là le fluttuazioni continove tra il bene ed il male; l’aspirazione e il rigore verso le cittadine virtù; il rispetto pel vero e la deferenza agli scaltri consigli degl’ipocriti di Loyola; la semplicità de’ modi e l’albagia aristocratica; l’ascetismo il più spinto e un amor prepotente durato sino alla tomba — licore soave ch’ei bevve, non già in una coppa, sibbene in un calice di tutte amarezze. Laonde, può dirsi ch’ei si fosse l’uom delle antitesi. Di fatto, nel palagio dei re Sabaudi da lui rinnovato col maggiore fastigio, aveva per sè composta una cameruccia modesta al pari di quella di un cenobita. — Nel lusso de’ regali banchetti splendidamente apparecchiati, cibavasi ogni dì di riso e di patate. — Riprodusse sovente i giuochi cavallereschi del medio-evo, in cui i gentiluomini piemontesi scendevano nella lizza vestiti siccome ai forti tempi del Principe-Verde, e la sera successiva a’ tornei accoglieva amabilmente nelle aule cortigianesche il ceto mezzano del popolo torinese. — Culto, erudito, ameno parlatore, non potè mai rischiarsi a dir pubbliche parole, e circondossi continuo di gente nulla, boriosa, che degli studi non faceva sua prima cura. — Impavido in faccia a’ perìcoli, sfidava bravamente il contagio colerico in Genova e in Racconigi, affrontava le falangi nemiche colla serenità di un antico guerriero a Pastrengo, a Coito, a Novara, presentavasi con calma rassegnata innanzi al furor popolare in Milano, e poi tremava come un pusillo alla lettura di un foglio che desse ingiurie e vituperi al suo nome, — Ascritto qual socio a confraternite di cattolica pietà, praticando i precetti romani col rigore di un anacoreta, firmava con risolutezza e collo spirito forte di un volteriano lo editto per cui si espellevano dal regno gl’Ignaziani d’ambedue i sessi. — Con savi provvedimenti fe’ prosperose le fatiche dei commercianti; e gli Ebrei che sono il tipo di questi, brutalmente restrinse ne’ più miseri e insalubri quartieri delle città che abitavano, quasi che coll’ignorante plebe si associasse nel dispettare in essi la nobile e vanamente combattuta costanza nella loro fede religiosa e gli tenesse in conto di correi nella crocefissione del Cristo. — Morale per professati principii, pur mantenne nello Stato il giuoco del lotto e permise quelli di azzardo in Savoia, invenzioni avare e fraudolenti che carpivano, l’una ai poveri bramosi, l’altra a’ ricchi scioperati il senso intimo ed istintivo dell’onesto vivere. — Tenerissimo di viaggi, e percorsa nella sua gioventù quasi tutta l’Europa — d’onde trasse quella dovizia di cognizioni che il facea chiaro tra i re — impediva a’ suoi figli il muovere fuor del confine del regno, il che gli avrebbe fortificati nella conoscenza degli uomini e delle cose. — Pagò col suo privato tesoro pensioni a parecchi emigrati — tra gli altri al Botta — e cacciava in bando sin negli ultimi tempi alcuni scrittori, i quali avean pubblicato egregi volumi a seconda delle sue idee. — Costituzionale nel 21, combatteva in Ispagna i fratelli della sua fede politica. — Liberale e democratico nel 48, s’ebbe al suo fianco sui campi di Lombardia i figliuoli di Don Carlos, campioni viventi del dispotismo il più cieco. — Faceva invadere dai suoi