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che andarono sino alla sazietà ed al fastidio; mentre, la privazione di cotali feste più e più addoppiava il desiderio di miglior reggimento ne’ popoli digiuni di libera luce che abitavano le parti estreme della Penisola.

Talmente avea fine il bene avviato anno di grazia e di giustizia 1847.

Ed io pur darò termine a questo primo libro, stringendo in brevi sentenze la situazione politico-morale degli Stati Italiani in tal’epoca.

La Corte di Roma colla mansuetudine creduta in Pio IX erasi fatta potente siccome coll’arroganza ai tempi di Gregorio VII. Ma il mondo illuso non vedeva in essa che un uomo innamorato del bene, ravvolto ne’ pregiudizii della sua casta, impastoiato nel doppio ed anomalo suo dominio, debolissimo per carattere, avido di lode e nell’atto stesso disdegnoso del perchè gli venia questa tributata; notava il numero grande degli ecclesiastici assunti in alte funzioni, avversi per ciò al novell’ordine di cose, favoratori di anarchia e di rivolte, bramosi per sè, insidiosi per altri.

Non lungi era il trono delle Due-Sicilie giacente sur un vulcano, pronto a scoppiare.

La Lombardia e la Venezia in fermento attendevano con ansia lo istante propizio per intimare la cacciata agli Austriaci, fatti crudeli dal disprezzo e dalla paura.

Gli altri popoli della Penisola, inebriati dall’entusiasmo, fidenti nella loro forza e ne’ loro errori, credevano avere nel pugno i destini di un avvenire stupendo. Nel cuore dì tutti, liberi od oppressi, animosi o prudenti, alimentavasi un voto solo, la libertà colla indipendenza d’Italia.

Il tempo però nascondeva sorti diametralmente contrarie!