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debbe sorreggere la potenza dello Stato e mantenerne la civile prosperità? Mai più disordine al pari di questo! I balzelli governativi dipendevano dalla volontà del tesoriere, prelato che non dava mai conto ad alcuno della propria gestione. Ogni possesso, ogni consumo, il vitto, la persona erano tassati senza senno, senza misura, senza equità; si pensava soltanto a riempire colle maggiori imposte lo erario, il quale — come la botte delle Danaidi — era continuamente vuoto ed esausto. Le entrate comunali venivano in parte nelle mani dei delegati delle provincie, i quali spesso sottraevano quei fondi dai pubblici lavori e ne usavano come di cosa propria. Il ministero delle finanze non aveva registri. La statistica degl’impiegati era stata lacerata sin dal 1815. E quando nel 49 la Costituente nominò una Commessione che una ne organizzasse sulle basi esistenti, si scopersero orrori, impudenti dilapidazioni, consuetudini disordinate, incredibili cose. Molti si godevano paghe mensili, senza prestar servigi allo Stato, col presentare al cassier generale la lettera di un alto dignitario in favore; e mille scudi al mese si davano ad un uomo, il cui merito era lo aver affisso sulla porta delle basiliche la scomunica contro l’imperatore Napoleone; e parecchi cittadini si avevano tre, quattro e sei impieghi lucrosi senza disimpegnarne alcuno; e pensioni si pagavano a vedove rimaritate; ed altre a belle donne pericolanti, ma si dovea credere non lo fossero; ed altre ancora ad impiegati morti già da un secolo, ma che si tenevan vivi con solenne scaltrezza ne’ nomi degli abiatici e dei pronipoti. Ho veduto persino ne’ dicasteri giovani di trent’anni aspiranti già alla pensione di ritiro, perchè nominati allo impiego di minutante, di segretario, di contabile il dì del matrimonio dell’avvenente lor madre. Lo ingegno era calcolato a nulla, o a delitto. La cabala, la doppiezza, la cortigianeria, tutto. Il cinismo presentavasi nudo qual era dalle forme le più schifose. Le arti si alimentavano meschinamente, tanto per non mancare a gloriose tradizioni. Le opere di pubblica utilità erano i conventi, le chiese; intanto i fiumi traboccavano; il traffico rimaneva senza aiuto; le industrie languivano, perchè quasi represse; l’agricoltura era sconosciuta nell’agro romano; il popolo accasciato dalla miseria e dalla insolente baldanza di chi il governava.

Onde ovviare a tanta congerie di mali, il pontefice associava a’ suoi disegni d’innovazioni il cardinale Pasquale Gizzi, uom giusto e dabbene, il quale, pochi mesi innanzi legato a Forlì, colla dignitosa sua condotta aveva saputo acquetare la indignazione degli abitanti rompenti a minacce contro il gregoriano governo. E per vie meglio indagare la verità — che i cortigiani ai principi sogliono sempre tacere — prese a dissuggellare di per sè stesso le lettere che se gl’indirizzavano per la posta e a ricevere ogni giovedì nel Quirinale gran numero di persone. Così vennero ritolti i più grossolani abusi; e si provvide ad una maggior libertà d’istruzione, allo allontanamento delle spie, alla regolarità de’ processi criminali e politici; ed al popolo che dignitosamente sapeva esigere il buono della vita civile si promise una legge sulla stampa; la revisione del codice amministraiio; ponti sospesi sul Tevere; strade ferrate; asili infantili, ospizi di mendicità, scuole domenicali e serotine pe’ contadini e per gli artigiani; congressi